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ABOUT_I simboli di Salvatore Ferragamo

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Con il suo estro creativo, Salvatore Ferragamo ha fatto di alcuni elementi i simboli del suo stile, ponendoli quali cifre inconfondibili di una passione che è andata il tempo, suggellando quel lodevole amore che ha sempre ispirato le sue mosse. Una storia meravigliosa, da sogno, dove la realtà si è contaminata con la più nobile fantasia, dando vita a un’autentica leggenda che ha mantenuto inalterati nel tempo i caratteri del suo dna.

Patchwork
L’uso del patchwork nelle calzature di Salvatore Ferragamo è uno dei temi più ricorrenti fin dalle origini, diventando un simbolo riconoscibile del suo stile, andando oltre le mode e i cambiamenti di gusto e rappresentando una perfetta sintesi tra la combinazione di materiali e colori e il rinnovamento del linguaggio del costume attraverso i pellami più tradizionali.
L’originalità del suo lavoro va collocata in un clima che, a partire dagli inizi del XX secolo, individua nell’accettazione di materiali inconsueti e di abbinamenti cromatici sorprendenti i segni di un mutato atteggiamento nella considerazione dell’abito e dei suoi accessori.Si tratta dello stesso clima in cui si collocano anche le esperienze e le ricerche di Sonia Delaunay, moglie del pittore Robert e personaggio chiave per la cultura figurativa e il mondo della arti applicate, che con i suoi abiti simultanei, i tessuti, i ricami e i patchwork porta avanti nuove soluzioni decorative.
Tuttavia, l’ispirazione del patchwork ha origine non solo dalle soluzioni artistiche del momento, ma anche dalla tradizione artigianale nord-americana dei quilt, realizzati con pezzi di tessuti diversi cuciti insieme, sicuramente conosciuti e apprezzati da Ferragamo nel periodo della sua formazione professionale oltreoceano.
Le prime tomaie patchwork appaiono negli anni ’20. Si tratta di patchwork ricamati a punto croce o a mezzo punto, in filo di seta o di cotone, o di composizioni in cui il vitello si alterna a rettangoli di coccodrillo e camoscio tono su tono, o di camosci in vari colori disposti in composizioni geometrizzanti: in ogni caso, sono esempi evidenti di come Ferragamo sia riuscito a rinnovare un intero linguaggio attraverso i pellami più tradizionali, diventando, negli anni a venire, il leitmotiv di intere collezioni sia d’abbigliamento che di calzature così come di accessori. 

Game
Tra i modelli che meglio documentano la fertile immaginazione di Salvatore Ferragamo, vi è un décolleté del 1930 in capretto nero con tacco in stile Luigi KV e punta rotonda, la cui tomaia presenta un geometrico disegno “a labirinto”, come viene definito nella registrazione del brevetto, realizzato a punto catenella nel colore grigio perla con l’impiego di un ago meccanico; una lavorazione nota con l’appellativo inglese “tambour work”, assolutamente necessaria quando i ricami sono eseguiti su pelle.
Questo modello mostra nella grafica geometrizzante della decorazione l’attenzione di Ferragamo all’arte contemporanea, in particolare all’esperienza futurista e cubista dei collage e papiers collés iniziati contemporaneamente da Pablo Picasso e Georges Braque.
La sua importanza, quale simbolo della creatività di Salvatore Ferragamo e della sua capacità di superare le barriere del tempo, ha fatto sì che questa calzatura diventasse l’ispirazione, in chiave attuale, di un décolleté a tacco alto e di una collezione di scarpe e borse per l’autunno-inverno 2003-2004, Game. Ma non solo….il décolleté, a sua volta, è divenuto soggetto e oggetto sul quale diciannove artisti contemporanei hanno espresso liberamente la loro creatività, usando tecniche diverse di lavorazione. 

La borsa Salvatore
Il modello si chiama Salvatore. È il nome dato a un bauletto con doppio manico e tasche laterali chiuse da zip, realizzato in tre misure e in più varianti di colore e di materiali. La specificità del modello è dovuta alla costruzione, poiché i fianchi a tasca vanno a formare la doppia maniglia dalla particolare bombatura, che rende anatomica l’impugnatura della borsa. Il nome, come ben si può intendere, è dedicato al fondatore della Maison, Salvatore Ferragamo. Una scelta non casuale dal momento che la forma, infatti, prende ispirazione da un borsone in cavallino e cuoio color marrone bruciato che Ferragamo iniziò a utilizzare nel 1950 per i suoi frequenti viaggi nonché per lavoro. In esso era solito riporre i prototipi delle sue calzature, i pellami, gli strumenti per la lavorazione artigianale. È dunque la prima borsa creata con la firma Ferragamo, che anticipa lo sviluppo di questa categoria di prodotto dalla metà degli anni ’60.

Il logo
Simbolo per antonomasia, perlomeno a livello grafico, il logo. Occorre però fare qualche precisazione. Prima del ritorno di Salvatore Ferragamo in Italia dall’America, nel 1927, non esisteva un logo Ferragamo. Le calzature create dal calzolaio dei sogni, così appellato a ragion veduta, erano perlopiù destinate alle star del mondo del cinema e vendute nell’Hollywood Boot Shop: il nome Ferragamo evocava e identificava una personalità creativa, senza però essere ancora un marchio.
È con la nascita a Firenze dell’azienda Ferragamo che vede la luce il primo logo, “Ferragamo’s Creations Florence Italy”, dove il nome del creativo era legato a quello della città di Firenze, quasi a suggellare il legame tra una calzatura realizzata ad arte e una città d’arte, in altre parole un vero e proprio oggetto da collezione.
Ferragamo utilizzò questo marchio d’impresa per etichettare le sue calzature, in particolare i modelli da sera e le scarpe foderate, realizzate in materiali di altissima qualità. Ma con la straordinaria fantasia che gli era peculiare e che non destinava solo all’ideazione e progettazione di scarpe, brevettò molteplici marchi d’impresa, come ad esempio “Pompeian”, con il quale erano contraddistinte le scarpe in tessuto o in rafia, adatte alla stagione estiva, o “Leonardo by Ferragamo”, con cui si etichettavano i sandali Capri degli anni ’50.
Il marchio che nel mondo intero è oggi conosciuto come il logo della Maison è nato solo negli anni ’60, dopo la morte dello stesso Salvatore. In esso si è voluto includere il nome del fondatore scomparso, ridisegnando graficamente la sua firma originale. Da allora con questo logo sono contrassegnati non solo i prodotti e le insegne dei negozi, ma anche il packaging e le campagne pubblicitarie. La famosa “F”, inoltre, ha suggerito i disegni a stampa di alcuni tessuti nonché il nome di un profumo.

Gancino
Ogni volta che si dice Ferragamo, è inevitabile non pensare al motivo del Gancino. Un segno distintivo che va oltre il semplice disegno, divenendo una sorta di logo, applicato su molti accessori e capi d’abbigliamento. Utilizzato per la prima volta negli anni ’70 come chiusura di una borsa disegnata per la madre da Fiamma, la maggiore dei sei figli di Salvatore e Wanda Ferragamo, tuttavia esso può vantare un’antesignana apparizione datata 1958 quando, in un articolo comparso sulla stampa tedesca, appare fotografato un modello di borsa con un ornamento molto simile.
Leggenda vuole che non si sappia quale sia l’origine esatta del disegno. Una tradizione tramandata oralmente narra che la fonte d’ispirazione sia stato il cancello in ferro battuto di Palazzo Spini Feroni, la sede medievale della Maison a Firenze. Tuttavia, è più facile che la realtà dei fatti sia molto meno romanzata e affondi la sua ragione d’essere nell’esigenza di trovare un particolare segno di distinzione nel momento in cui, negli anni ’50, lo sviluppo del made in Italy aveva generato un proliferare di marchi e simboli di ogni tipo.
Fatto sta che il Gancino da allora fu sempre più utilizzato su accessori in pelle e calzature fino alla sua consacrazione ufficiale alla fine degli anni ’80, divenendo equilibrata quintessenza di stile e funzionalità.

Vara
La storia della scarpa Vara risale al 1978 e si deve alla creatività di Fiamma Ferragamo. Il modello nacque dall’esigenza di conciliare sportività ed eleganza in una creazione destinata alla linea boutique. I disegnatori cominciarono così a lavorare su una forma da qualche stagione sperimentata e rinomata per essere comoda, con tacco basso e punta rotonda. Al prototipo fu aggiunta una piccola decorazione ovale e un fiocco improvvisato da un nastro di gros-grain recuperato nell’atelier: ecco creati i due dettagli distintivi di Vara!
Da allora il modello è rimasto ininterrottamente in produzione e, con oltre un milione di paia vendute, ha ottenuto il primato assoluto nella sua categoria.
Il segreto del successo di Vara risiede nell’elegante essenzialità del suo design: si tratta di una calzatura chiusa a tacco basso e punta arrotondata, con un fiocco in gros-grain e una placca dorata su cui è inciso il logo Ferragamo. Il suo stile sofisticato ha influenzato l’abbigliamento e tutto il mondo degli accessori della Maison, dai bottoni alle cinture, dai bijoux alle borse. Nel corso degli anni, è stato declinato in una sorprendente gamma di modelli, il più recente dei quali – Varina - è stato proposto nella primavera-estate 2008, reinterpretando un classico dello stile Ferragamo: le linee affusolate di Vara sono adattate alla silhouette di una ballerina rasoterra e sulla scollatura sono riproposti la celebre placca dorata e il fiocco in tessuto, oltre al nastro in gros-grain cucito sulla tomaia.

Shoes
Nel 1985 venne inaugurata a Firenze, a Palazzo Strozzi, una retrospettiva sulla storia di Salvatore Ferragamo. Era la prima volta in Italia che i prodotti di una Maison di moda ancora attiva – in questo caso le calzature – venivano presentati come opere d’arte e pezzi di design del ‘900. La mostra venne poi ospitata in molti altri musei. Era il preludio di un ben più vasto progetto espositivo che avrebbe preso corpo qualche anno più tardi a Firenze: il Museo Salvatore Ferragamo. In questa sede gli oltre diecimila modelli di scarpe che datano dal 1920 in poi, guidano nella storia illustrata del fondatore, evocandone i fasti, la genialità e la creatività. Una storia che ha guidato gli stilisti avvicendatisi alla guida della Maison, offrendo spunti e ispirazioni per le collezioni; in particolare, i disegnatori di foulard hanno dato inizio a una serie di motivi grafici dove protagoniste sono le scarpe storiche. Il primo di questi disegni si chiama Shoes e su questo tema sono stati declinati bijoux, tessuti per abbigliamento, accessori di chiusura per borse, bottoni e ornamenti per scarpe: un motivo decorativo unico nel mondo del design di moda e originale del marchio Ferragamo. 

LEISURE_Il genio di Helmut Newton in mostra a Roma

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La linea sinuosa della schiena, con lo sguardo fisso in camera: nuda, vestita solo della sua bellezza, tra l'opulenza di un arredamento d'alto antiquariato. E' il 1973 ed Helmut Newton (1920-2004) scatta il suo primo nudo d'autore.
Lei è Charlotte Rampling, grande e anticonformista attrice inglese. Ed è ancora lei, ad aprire idealmente “Helmut Newton - White Women, Sleepless Nights, Big Nudes”, personale dedicata al più celebre ed emblematico fotografo di moda del XX secolo, che dopo il Museum of Fine Arts di Houston e il Museum fuer Fotografie di Berlino approda a Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 21 luglio, unica tappa italiana di una lunga tournee internazionale. Oltre 200 scatti, che la vedova del fotografo, June, ha personalmente scelto e seguito nella ristampa dai primi tre volumi monografici pubblicati dal maestro alla fine degli anni Settanta, cui la mostra 'ruba' il titolo: il leggendario “White Women” del 1976, premiato con il Kodak Photobook Award e con il quale Newton porta il nudo nell’estetica fashion, ottenendo immagini così sorprendenti e provocatorie da rivoluzionare il concetto stesso di fotografia di moda e testimoniare la trasformazione della donna nella società occidentale; “Sleepless Nights” del 1978, che raccoglie tutti i servizi realizzati, soprattutto, per Vogue, e in cui le fotografie passano da semplici scatti di moda a ritratti da reportage, e, infine, “Big Nudes” del 1981, con cui Newton diventa protagonista dell’arte fotografica della seconda metà del ‘900, immortalando, con grande eleganza, modelle ritratte sistematicamente fuori dallo studio, in strada, spesso in atteggiamenti sensuali, quasi a suggerire un utilizzo della fotografia di moda come pretesto per realizzare qualcosa di molto personale.
La mostra, quindi, rispecchia l’anima dei tre volumi, raccontando, al contempo, l’evoluzione della fotografia di moda tout court intesa. L’occhio scrutatore di Newton percepisce sempre un’ambiguità di fondo in cui erotismo e morte non sono che due aspetti della stessa verità. Una bivalenza che l’ha portato a scontrarsi molte volte con la realtà apparente e a spingersi oltre, per scovare la naturale essenza delle cose celata dietro ogni superficialità immaginifica. Una forza indagatrice grazie alla quale ha portato la moda e la nudità all’esterno degli studi, ponendo la donna sul piedistallo della consapevolezza di se stessa come mai prima d’allora.
Seguendo il percorso espositivo, si dispiega davanti agli occhi la trasformazione della donna dagli anni ’60 agli ’80 e oltre: un’emancipazione in divenire, che la libera dai vestiti e la colloca anche in altri ambiti, fino ad allora impensati. Ecco, quindi, le grandi top, ma anche Paloma Picasso o Loulou de la Falaise, storica musa di Yves Saint Laurent, incarnare, insieme, femminile e maschile, interpretare storie d’omicidi o sfoggiare altezzosi busti ortopedici in scatti che fecero scalpore. E ancora, spogliarsi all’ombra della Tour Eiffel o interagire con manichini, in un continuo gioco di rimandi tra eros e thanatos.
Ma Newton non si limita a coinvolgere il pubblico come un semplice osservatore, bensì lo invita a un’esperienza voyeuristica, coinvolgendolo nei tanti provocatori autoscatti o nell’insolito Andy Warhol nella stessa posizione di una statua della Madonna in una chiesa toscana così come nel ritratto di una fascinosa Nastassja Kinski mentre abbraccia una bambola dalle sembianze di Marlene Dietrich.
Last but not least, la mostra, seguendo sempre l’impostazione dei tre volumi, riporta anche contrasti e accostamenti creati negli anni per sé, come, per esempio, la top Patti Haven nuda accostata alla Vergine Maria di Poggibonsi, o Veruschka, immortalata in tutta la sua strabiliante bellezza in uno scatto intimo in un casa spiaggia, davanti alla sfrontatezza di una donna nuda, seppur in pelliccia, per Avenue George V. Uno scatto proibito per legge, quest’ultimo, mai uscito sui giornali, ma testimoniante il naturale dualismo della sua vocazione artistica: un eterno gioco di rimandi e pensieri che si rimbalzano tra estremi che si attraggono all’inverosimile per offrire il meglio della loro singolarità e, al contempo, della loro totalità d’essere. Un genio visionario, che ha saputo spingersi oltre i confini del visibile e del convenzionalmente inteso, alla volta di nuove interpretazioni, frutto della più lungimirante intraprendenza immaginifica, e della ri-scoperta dell’autentica valenza dell’arte e della cultura.

Helmut Newton - White Women, Sleepless Nights, Big Nudes
Palazzo delle Esposizioni, Roma
Fino al 21 luglio 2013 

STYLE_Borse divenute icone

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Gucci ha fatto di diversi elementi gli emblemi del suo stile: dalla fantasia Flora alle doppie GG, dal morsetto al nastro a strisce, dalla stampa a diamante al bambù è tutto un fluire di tradizione e cultura, che dal passato vengono riprese intatte nella loro filosofia e attualizzate alla contemporaneità più vivace, nel vivo rispetto di un passato glorioso che poche altre realtà possono vantare.
Tra le icone entrate di diritto nel vocabolario dello stile dapprima della Maison e in seguito del buon gusto largamente inteso, vi sono alcune borse che hanno fatto la storia dell’eleganza femminile, indossate da celebreties e divenute accessori senza età, belle e autentiche oggi come allora. Riproposte e rieditate negli anni grazie a speciali collezioni, raccontano un’epoca, portandone, inalterati, i valori e i significati e rimandando alla mente visioni e interpretazioni di un tempo andato, pronto però a ripresentarsi all’occasione con un apostrofo di stile in grado di personalizzare un look femminile, dal più prezioso al più informale.
Tre i modelli cult - la Stirrup, la Jackiee la New Bamboo– protagonisti di contemporanee rivisitazioni.

La Stirrup
La borsa Stirrup: un classico che rivisita il passato in chiave moderna, in perfetto accordo con il glamour e la sensualità delle collezioni proposte dal direttore creativo Frida Giannini negli ultimi anni.
Ispirata ad un iconico modello del 1975, la borsa Stirrup ha una struttura rigida che vanta una complessa costruzione realizzata grazie ad una tecnica che riflette i valori e l’esperienza artigianale che da 90 anni contraddistinguono il marchio Gucci. Dal taglio delle varie componenti fino alle rifiniture finali, un artigiano esperto impiega circa due giorni per creare una borsa Stirrup.
Prendendo ispirazione dal patrimonio storico di Gucci legato all’equitazione, la forma evoca una staffa e presenta uno sperone in metallo dorato come dettaglio sulla parte frontale.
Sobria e raffinata, è disponibile in morbida pelle di vitello, in struzzo glossy, in coccodrillo washed o lucido e in pitone colorato. Una preziosità avvalorata dalle tecniche manuali adottate dai maestri artigiani di Gucci: il coccodrillo washed, per esempio, richiede due applicazioni di cera colorata calda spalmata a mano per creare l’effetto “chiaroscuro”, una finitura e un lavaggio effettuati anch’essi a mano per ottenere un aspetto vissuto; il pitone, invece, viene spruzzato con tre strati di colore prima di essere lucidato e stirato. Tutti i bordi sono levigati, spazzolati, dipinti e rifiniti a mano; gli interni sono foderati con preziosa nappa tono su tono o cotone e lino; la ricca palette di colori comprende toni speziati come il marrone chiaro, il rosso e il color curry.

La New Bamboo
La New Bamboo, ossia una modernissima reinterpretazione di una delle borse più iconiche di Gucci. Nella rivisitazione di questo modello classico del marchio, la storica tradizione è unita a tecniche innovative d’alta moda.
La borsa Bamboo originale era una piccola borsa strutturata, in pelle di cinghiale e con il manico in bambù curvato a semicerchio. Creato per la prima volta nel 1947, il modello è diventato un iconico esempio della maestria degli artigiani Gucci. Negli anni ’50 e ’60 venne indossata da innumerevoli celebrità internazionali, consolidando il suo destino come una delle borse Gucci più amate e di successo.
Oggi è proposta nella sua dimensione originale e anche in una nuova versione su scala più grande. Per la prima volta è stato utilizzato il nichel per gli elementi metallici, donando così un look più moderno. Come il modello originale, conserva lo storico manico in bambù, a cui ora sono state aggiunte una lunga tracolla in pelle e una seconda tracolla in catena di metallo con una base in pelle intrecciata che regala un tocco più sexy. Anche le nappine di pelle, arricchite da dettagli in bambù, sono un nuovo elemento decorativo.
Celeberrime le sue apparizioni al braccio di dive e divine di ieri e di oggi: da Liz Taylor sul set del film “La gatta sul tetto che scotta” (1958) a Carla Bruni durante una delle sue uscite ufficiali nel ruolo di Première Dame, passando per Ashley Greene e Florence Welch.

La New Jackie
Creata per la prima volta negli anni ‘50, la borsa Jackie O è un classico immediatamente riconoscibile per due caratteristiche inconfondibili: la forma arrotondata e la chiusura.
Il modello prende il nome da Jacqueline Kennedy Onassis che fu fotografata diverse volte mentre la indossava, quando lavorava come consulting editor da Doubleday. Questo classico di Gucci divenne il suo compagno fedele, proponendosi come l’accessorio perfetto per una donna che lavora e alla ricerca di comfort e eleganza.
Oggi la borsa, comoda ed elegante, acquista una nuova immagine contemporanea, senza, tuttavia, rinunciare alla filosofia con la quale s’impose sulla scena dello stile nella metà del secolo scorso.
Ribattezzato New Jackie, il modello di oggi, arricchito da un tocco di glamour moderno e proposto in una forma oversize destrutturata, testimonia il patrimonio Gucci e il suo squisito artigianato. Ogni modello, realizzato a mano in Italia, richiede da un minimo di sette a un massimo di tredici ore di lavorazione (a seconda della pelle impiegata).
Arricchita da lunghe nappine in pelle e rifinita con dettagli in bambù, è disponibile in pelli pregiate come il coccodrillo, il pitone, lo struzzo e il morbidissimo vitello neo zelandese. Le influenze del mondo equestre sono visibili nelle impunture, simili a quelle delle selle.

LEISURE_Donne in bottega

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Le donne, complice una forte dose d’intraprendenza, senso pratico e lungimiranza, hanno sempre avuto un ruolo centrale nella società e nel suo sviluppo, accompagnando gli aspetti più tradizionalmente legati a una dinamica famigliare così come quelli più spiccatamente associati al divenire sociale. Constatazioni che possono suonare retoriche e scontate, ma, tuttavia, spesso ignorate dall’attuale contesto che non le valorizza quanto meriterebbero.
Retoricità e femminismo a parte, la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte le celebra con una mostra allestita a Milano a Palazzo Morando, visitabile sino al 21 aprile 2013.
“Donne in bottega” – promossa dall’Associazione DcomeDesign, a cura di Anty Pansera e Mariateresa Chirico - il titolo di questa speciale esposizione, che mette al centro le donne artigiane attive in Lombardia dal 1906 al 2012.
Un’iniziativa inserita in un contesto ben più ampio di azioni concentrate nel tempo e distribuite in alcuni spazi significati, sia pubblici che privati, della vita culturale e artistica cittadina e volte e mettere in scena l’eccellenza dei mestieri d’arte italiani. Ma non solo….un’iniziativa che delinea, attraverso il recupero di una “campionatura” della creatività progettuale al femminile, la realtà lombarda, mostrando figure spesso poco note ma di grande interesse e valore, ed evidenzia l’importanza e le specificità del loro contributo, le cui peculiarità (emozionalità, sensibilità, partecipazione) si sono trasferite dalle botteghe futuriste dei primi del ‘900 alla progettazione di oggetti legati ai settori produttivi più diversi dell’artigianato e del design.
Vengono, così, presentate figure emblematiche, simbolo di alcune attività in cui le donne hanno operato e operano tuttora con eccellenza e maestria, a partire dall’Esposizione Internazionale svoltasi a Milano nel 1906. Si inizia, pertanto, con il mondo tessile per proseguire con quello della ceramica, che le ha viste impegnate nella creazione di oggetti dalle forme innovative, che ne reinterpretano l’utilizzo e la funzionalità. Sempre più abili ed esperte, si cimentano con un materiale prezioso e impegnativo come l’argento, ponendo un’attenta devozione alla semplificazione e alla riduzione degli ingombri, complice una società in cui lo spazio comincia a divenire sempre più raro. Fino ad arrivare, nel secondo dopoguerra, a operare nel mondo del design con una progettazione che interloquisce con la realtà aziendale e fa i conti con nuovi materiali, tecnologie avanzate, necessità di cicli produttivi, esigenze del mercato. Quintessenza della femminilità, infine, il mondo del gioiello, per il quale, nel tempo, le donne hanno saputo proporre forme originali, che si avvalgono di materiali insoliti, anche volutamente “poveri”, grazie ai quali, però, emerge proprio la loro inesauribile creatività.
Poesia, capacità di sognare, sottile ironia, ma anche rigore e pragmatismo sono le cifre del progettare declinato in rosa. Caratteristiche che, inevitabilmente, hanno portato a identificare alcuni ambiti d’attività in cui è emersa la maestria di donne artigiane/artiste che hanno dato vita a creazioni – pezzi unici o in piccola serie – espressione di grande originalità e ricerca. Questi manufatti sono gli stessi che scandiscono il percorso espositivo della mostra, trovando collocazione in apposite “stanze”, una per ciascuna tipologia/materiale, secondo il particolare allestimento curato da Patrizia Scarzella.
Creazioni d’arte: una bottega futurista a Milano
Accessori d’abbigliamento e complementi d’arredo del futurista Cesare Andreoni, realizzati da Angela (Chiff) Lombardini (1899-1989), compagna e consorte.
Argenti: insolite progettazioni
Materiale tra i più pregiati, vede la creatività al servizio dell’utile, rivisitando forme e ingombri anche di tipologie tradizionali. Maria Luisa Belgiojoso; Olga Finzi Baldi; Carla Fossati Bellani Venosta; Anna Gili; Franca Helg
Ceramiche: terre in forma
Ambito da sempre molto praticato dal mondo femminile, si pone in una posizione di frontiera tra l’arte e il design, tra l’oggetto unico, la piccola serie, la produzione industriale. Rosanna Bianchi Piccoli; Antonia Campi; Irene Cova; Clara Istler; Lorenza Morandotti; Gabriella Sacchi; Studio Pixel (Sarah Spinelli e Chiara Paradisi)
Progettazione industriale: o del design
Ai suoi esordi, il furniture è “frequentato” anche dalle designer: sedute e apparecchi illuminanti soprattutto. Gae Aulenti; Cini Boeri; Raffaella Crespi; Carlotta De Bevilacqua; Giulia Degli Alberti; Titti Fabiani; Anna Ferrieri Castelli; Daniela Puppa; Nanda Vigo
Insoliti splendori
Accessori da sempre soprattutto femminili, i gioielli sono qui proposti in materiali inusuali, dalle resine alla carta. Giorgina Castiglioni; Daniela De Marchi; Nicoletta Frigerio; Eleonora Ghilardi; Franca Helg; Raffaella Magiarotti; Emma Caimi Pellini, Carla e Donatella Pellini; Angela Simone
Impalpabili creazioni
Leggeri e preziosi manufatti che hanno saputo conservarsi e rinnovarsi nel tempo. Ada Arnaboldi; Maria Bargna; Lodovica Borghi; Renata Casartelli; Claudia Casati; Luigia Fumagalli; Manifattura Angelo e Luigia Colombo; Luigia Molteni; Cecilia Piacitelli Roger; Anna Tagliabue; Albina Vismara; Enrica Vismara
Tessitura, disegno e “pittura”: arti e applicazioni
Creatività, progettazione, ricerca e sperimentazione le valenze che accomunano chi si è cimentata su fibre naturali o di alta tecnologia per l’arredo e per particolari capi-moda.
Carla Badiali; Paola Besana; Gegia e Marisa Bronzini; Alda Casal; Fede Cheti; Cristiana Di Nardo; Daniela Gerini; Rosa Menni Giolli; Paola Lenti; Patrizia Scarzella; Nanni Strada
Le opere esposte provengono da importanti collezioni private e pubbliche, fra cui l’Archivio Cesare Andreoni (Milano), l’Associazione Donne in Cammino (Catanzaro), il Castello Sforzesco – Raccolte d’Arte Applicata (Milano), il Comitato per la Promozione del Merletto (Cantù), la Cooperativa Produzione Merletti (Cantù), la Fondazione Antonio Ratti (Como), Fragile (Milano) e la Galleria Paloma (Milano).

La Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte promuove a Milano un programma di mostre ed eventi progettati e organizzati nel contesto dell’edizione 2013 delle Giornate Europee dei Mestieri d’Arte, importante appuntamento annuale internazionale coordinato dall’Institut National des Métiers d’Art. Tutte le iniziative di questo programma sono rese possibili dal prezioso sostegno di Vacheron Constantin. La più antica Maison ginevrina di alta orologeria da sempre sostiene e promuove i mestieri d’arte nel mondo, perché strettamente legati alla sua storia, che unisce tradizione artigianale e innovazione creativa. Vacheron Constantin è partner ufficiale delle Giornate Europee dei Mestieri d’Arte.

Palazzo Morando, settecentesca dimora nobiliare cittadina, oggi proprietà del Comune di Milano, è importante sede museale e vivace luogo di prestigiosi eventi espositivi. Al primo piano è attualmente ospitata la Pinacoteca: una collezione di dipinti, sculture, stampe che ha avuto origine nel 1934 dall’acquisizione da parte del Comune della collezione di Luigi Beretta e che testimonia l’evoluzione urbanistica e sociale di Milano tra la seconda metà del XVII e i primi anni del XX secolo. Negli ambienti attigui sono state riallestite le sale di rappresentanza della casa nobiliare, un percorso suggestivo che documenta in modo esemplare il gusto settecentesco per l’arredo domestico, attraverso un nucleo di decorazioni, mobili e oggettistica recentemente ricomposto nella sua fisionomia originaria con una capillare attività di recupero di un patrimonio nel tempo disperso in diversi depositi esterni al palazzo. Nel gennaio del 2010 ha visto la luce un nuovo allestimento di Palazzo Morando finalizzato a dare nuova visibilità allo straordinario patrimonio artistico del Museo di Milano e al patrimonio storico delle Raccolte d’Arti Applicate che costituiscono un nucleo portante delle collezioni storiche e artistiche comunali. Gli interventi eseguiti hanno infatti valorizzato, oltre che il patrimonio tessile delle Raccolte Storiche, anche le collezioni di abiti e accessori conservati nei depositi delle Raccolte d’Arti Applicate del Castello Sforzesco, che in questi ambienti hanno trovato la loro idonea sistemazione.

L’Associazione DcomeDesignè stata fondata nel maggio 2010 da Anty Pansera, Luisa Bocchietto, Loredana Sarti e Patrizia Scarzella. Suo scopo principale è la promozione e la diffusione della creatività di progetto delle donne. Attraverso l’ideazione e la realizzazione di mostre, eventi, ricerche, coinvolge donne progettiste in campo internazionale con progetti rivolti specialmente ai paesi emergenti. L’idea dell’Associazione nasce dalla mostra D-Come Design, ideata da Anty Pansera e Luisa Bocchietto nel 2008 nell’ambito degli eventi di Torino World Design Capital. La mostra ha illustrato i contributi delle donne progettiste dall’inizio del ‘900 ad oggi, attraverso un percorso storico e con la partecipazione di oltre 100 designer italiane contemporanee. Alle spalle gli studi iniziati nel 2000, per la mostra Dal merletto alla motocicletta (Ferrara 2000) e l’evento Il ponte delle Signore (Biella, 2003-2004).

Donne in bottega - La presenza delle donne artigiane / protodesigner / designer / imprenditrici in Lombardia dal 1906 al 2012
Palazzo Morando - Costume Moda Immagine Via Sant'Andrea 6 – Milano
Fino al 21 aprile 2013
9.00-13.00/14.00-17.30, chiuso il lunedì

ABOUT_Salvatore Ferragamo e il cinema

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La carriera professionale e il successo di Salvatore Ferragamo, così come dell’omonima Maison, illustrano in maniera esemplare i rapporti che la moda e il cinema hanno sviluppato a partire dal 1920.
Quando Salvatore Ferragamo si trasferisce in California, portando con sé una smisurata passione per le scarpe e una grande maestria artigianale, le prime vere esperienze di lavoro sono proprio nel mondo del cinema. Il primo incarico è con l’American Film Company, che gli chiede di realizzare gli stivali per i film western. Ben presto, attori e attrici che indossano calzature Ferragamo sul set cominciano a farsele produrre su misura nel piccolo laboratorio che patron Ferragamo aveva aperto a Santa Barbara. Registi come Cecil B. De Mille, David W. Griffith, James Cruze, Raoul Walsh, sono i veri fautori della fortuna della Maison, ordinando calzature per film come Way Down East (Agonia sui ghiacci, D. W. Griffith, 1920), The Ten Commandments(I Dieci Comandamenti, C. B. De Mille, 1923), The Covered Wagon (I Pionieri, J. Cruze, 1923), The Thief of Baghdad (Il ladro di Baghdad, R. Walsh, 1924).
Primi tentativi di un sodalizio che avrà vita eterna, eleggendo il cinema a propagatore di moda e mode. I modelli di Ferragamo diventano in breve tempo un oggetto di seduzione e di desiderio, tanto da far guadagnare, di diritto, a Salvatore Ferragamo l’appellativo di “calzolaio delle stelle”: attori e attrici del calibro di Paola Negri, Mary Pickford, Gloria Swanson, Joan Crawford, Rodolfo Valentino, Douglas Fairbanks jr, sono solo alcuni dei suoi affezionati clienti.
Sulla scia di una simile affermazione, Salvatore Ferragamo nel 1923 apre l’Hollywood Boot Shop in Hollywood Boulevard, angolo Las Palmas. È un negozio grande ed elegante, ma con un’atmosfera discreta e intima, per così dire famigliare.
Da allora il rapporto con il cinema non si è mai allentato, anzi, si è rafforzato sempre di più, rappresentando un imprescindibile impulso creativo per Salvatore Ferragamo e per l’immagine complessiva della Maison.
Negli anni ’50, Palazzo Spini Feroni era già una visita d’obbligo per le attrici più famose del periodo, da Audrey Hepburn ad Ava Gardner, passando per Greta Garbo, Anna Magnani, Paulette Goddard, Lauren Bacall e Sophia Loren. Salvatore Ferragamo era solito riceverle personalmente, soddisfacendo ogni loro richiesta, anche la più stravagante.
A latere, le continue e proficue collaborazioni con le produzioni cinematografiche, realizzando accessori– come, per esempio, nel film di Wenders The Million Dollar Hotel, dove Mel Gibson portava scarpe Ferragamo, o nel film di Steven Spielberg Al con Jude Law per cui è stata scelta un’originalissima ventiquattrore in fibra di carbonio – sia partecipando attivamente alla storia del film e lavorando, quindi, a stretto contatto con il costumista. È il caso nel 1996 del film Evita di Alan Parker interpretato da Madonna, nel 1998 de La leggenda di un amore di Andy Tennant e, recentemente, di Australia, diretto da Baz Luhrmann e interpretato da Nicole Kidman. 

STYLE_Mare, sole, amore by Dolce & Gabbana

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Mare, sole, amore. Tre capisaldi per un fatto a mano dal sapore rigorosamente made in Italy, che molto recupera della tradizione e della cultura, facendo di quell’heritage sicula, tanto cara alla coppia di stilisti, oltre che una vera e propria vocazione, un’imprescindibile fonte d’ispirazione. Un’ispirazione unica nel suo genere, che balza all’occhio istantaneamente, caricandosi di valori e rimandando a un tempo che fu, costellato di stimoli e suggestioni, al punto tale da divenire la cifra stilistica di Dolce & Gabbana.
Per la primavera-estate 2013, gli stilisti propongono una donna elegante, lussuosa ma al tempo stesso decisa e consapevole della propria femminilità, che ricerca nella tradizione i fondamentali del suo stile, curando ogni dettaglio e prediligendo tutti quei capi e accessori che in sé racchiudono un concentrato di storia, declinato in visioni, interpretazioni e istanze.
Il legame col territorio si dispiega in tutta la sua forza, imponendosi in modo dirompente con stampe coloratissime che evocano i carretti e i pupi siciliani; o ancora, disegni che rimandano alle maioliche di Caltagirone, declinate su robe chemisier così come su calzature dall’indiscutibile fascino. La collezione è tutta un colore e le stampe lasciano spazio soltanto a righe strepitose, declinate in una bicromia che evoca, per l’appunto, il leitmotiv della collezione - mare, sole, amore -, strizzando l’occhio agli ombrelloni e alle sdraio dei lidi balneari. A completare il tutto, foulard portati come fasce e bandane annodate in testa, maxi orecchini prendenti che riproducono, ancora una volta, elementi cari alla tradizione sicula come pupi e teste di ceramica, sandali scultura “carretto” o in midollinosia alti che bassi, bag che affondano la loro natura d’essere nella più profonda tradizione Dolce & Gabbana.
Una sublimazione dell’estate che culmina con l’altissima artigianalità di capi in paglia, uncinetto di rafia, ricami di corallo su paglia: lavorazioni utilizzate per abiti, gonne e bustier effetto scultura in midollino ispirati ai tipici cesti siciliani.
Le forme e le proporzioni dominanti sono le linee a trapezio e ad A, riportando così la mente, in un attimo a un bon ton di altri tempi, che prevedeva per ogni ora ed ogni occasione della giornata una precisa mise. Nuove educande, quindi, che camminano avvolte dall’aura di un lusso sfumato, complice l’utilizzo di materiali e tessuti preziosiche nobilitano anche il capo più semplice e informale: rafia, crochet di rafia e rafia stampata, rafia ricamata con corallila fanno da padrone insieme a doppia organza di raso, organza goffrata e rete di organza, cotone a effetto grezzo stampato, cotone e lino stretch, broccato d’oro e stampato.
Che si tratti di mise per una garbata matinée piuttosto che per una preziosa soirée, è evidente un sano e autentico recupero della tradizione siciliana e delle sue reminiscenze culturali, attualizzata nelle più correnti forme interpretative che garantiscono una convivenza armonica tra passato e presente, in un ideale connubio spazio-temporale che proietta in una dimensione rarefatta e magica.

LEISURE_Il calzolaio prodigioso: fiabe in mostra al Museo Ferragamo

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C’era una volta un magico creatore di scarpe….potrebbe essere questo l’incipit della mostra “Il calzolaio prodigioso – Fiabe e leggende di scarpe e calzolai”,curata da Stefania Ricci, Sergio Risaliti e Luca Scarlini, ospitata dal 19 aprile 2013 fino al 31 marzo 2014 a Palazzo Spini Feroni, sede del Museo Salvatore Ferragamo.
Incipit ma anche cuore di questa esposizione più unica che rara, che esplora l’universo delle calzature attraverso le pagine di una fiaba e il racconto di miti e leggende, raccontando la vita di Salvatore Ferragamo. Un’esperienza multisensoriale, che si avvale dei contributi di autori e artisti, come gli esperti di narrativa per ragazzi Antonio Faeti e Michele Rak, lo studioso di cinema Alessandro Bernardi, gli scrittori Hamid Ziarati, Michele Mari ed Elisa Biagini, che, per l’occasione, hanno scritto nuove favole, il compositore Luis Bacalov che ha composto una nuova partitura musicale, i fotografi Simona Ghizzoni  e Lorenzo Cicconi Massi, che hanno immortalato le scarpe della Maison rendenole fiabesche. Ma non solo…l’opera Messenger di Annette Lemieux è stata avvicinata al mito di Mercurio; quella di Carol Rama alla versione più hard di Cenerentola; quella di Daniel
Spoerri a Pollicino. Altri artisti hanno voluto creare nuove opere prendendo ispirazione da fiabe diverse: Liliana Moro da Pelle d'Asino; Ann Craven da Cenerentola, Il Gatto con gli stivali, Alice nel Paese delle Meraviglie e Il Mago di Oz; Timothy Greenfield-Sanders da Il Mago di Oz; Liu Jianhua da Cenerentola; Jan Svankmajer da Scarpette rosse. La favola, inoltre, è resa nella sua versione contemporanea grazie al fumetto: Frank Espinosa - autore di famosi fumetti come Rodcenko - ha realizzato la storia illustrata dell'avventura di Salvatore Ferragamo.
A corollario, una sezione dedicata alle sculture di Mimmo Paladino, una con le illustrazioni di Frank Espinosa e una con i cortometraggi di Francesco Fei, Mauro Borrelli e Rick Heinrichs (scenografo premio Oscar per il film Sleepy Hollow). Esposte, inoltre, opere d’arte e libri, tra cui il manoscritto di Federico Garcia Lorca, La zapatera prodigiosa, per la prima volta in mostra in Italia.
Dettagli tecnici a parte, il concept dell’esposizione sembra essere proprio nell’intenzione di mettere in mostra la fantasia, in un gioco sottile e sublimato di contraddizioni apparenti con cui esibire fisicamente ciò che essa rappresenta. E così, in men che non si dica, le leggende prendono vita: si possono guardare oltre che ascoltare, invitando il visitatore a un magico viaggio nella storia della scarpa, tema che ha sempre affascinato gli scrittori di fiabe. Si rammenti, infatti, che calzare le scarpe, a livello semantico, è un segno di ricchezza e di potere. Un valore simbolico reso tale dal lavoro e dalla maestria di abili calzolai e ciabattini, che hanno fatto dell’artigianalità un segno distintivo, caratterizzato da un sapore senza tempo, ravvivato da un’irrefrenabile passione di fare e insegnare. Un viaggio mesmerico che porta alla scoperta della vita di Salvatore Ferragamo, soprannominato a ragion veduta “il calzolaio dei sogni”: una storia che racchiude in sé tutti gli ingredienti di una fiaba, che nasce dalla passione per un sapore antico, dagli insegnamenti di altri calzolai o ciabattini, da una lunga esplorazione di un mondo in cui le scarpe conservano poteri affascinanti e misteriosi. Una storia tutta da scoprire e vivere nelle sue peculiarità, apprezzandone ogni minima sfumatura, anche la più nascosta, per la comprensione di uno dei personaggi chiave dello stile italiano tout court inteso. 

BEAUTY_Scent of woman: profuse che parlano d'amore

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Sono profumi che parlano d’amore quelli che si impongono nelle recenti collezioni olfattive, denotando una preponderanza da parte delle maisons a rendere protagonista l’affettività più autentica, sulle orme di un dolce stil novo che ritorna prepotentemente a scandire la sensualità nella sua accezione più sublime. Che si tratti di amore per un luogo particolare piuttosto che per elementi icona di uno stile, o ancora che sia enfatizzato in alcune delle sue peculiarità, prediligendo ora i risvolti più passionali ora un neo-romanticismo, sempre e comunque di amore si tratta. Il più nobile dei sentimenti, quello che tutto anima e tutto governa, che si spinge oltre le apparenze e le differenze alla volta di un canto all’unisono di quelle che sono le virtù dell’umanità. Che coinvolge e assorbe, che cattura e non dà tregua, che rapisce e ingloba in una dimensione evanescente, dove tutto assume una nuova configurazione, dominata da luce, colore ed emozione. L’amore per la vita generalmente intesa, che può riguardare, pertanto, persone ma anche luoghi ed epoche, tutto quanto, in altre parole, è in grado di suggestionare e animare di uno spirito nuovo, mai provato prima o, anche se provato, sempre diverso, divenendo fonte d’ispirazione della vita. Perché cambiamo noi, ma cambia anche il soggetto del nostro amore: quello che conta veramente, è viverlo senza preamboli, privazioni o limitazioni; viverlo e goderlo nella sua interezza d’essere e di spirito, facendo tesoro della bellezza e dell’intensità delle emozioni che ogni giorno ci regala e mettendole a frutto come uno dei grandi doni della vita. Perché ogni amore, come asseriva il sommo Dante, merita d’essere vissuto per la sua stessa ragione d’essere, senza aspettarsi nulla in cambio, bensì per il semplice piacere di scoprirlo man mano e ammirare la perfezione del creato.

Profumo d’amore e di donna, quintessenza di quell’adorata femminilità in grado di catturare i sensi e condurre a un elegante intrigo. A questo devono essersi ispirate le maisons nella creazione delle loro nuove note profumate.
Yves Saint Laurent ha caricato di significato la sua liaison amoureuse con la sua Parigi, mettendo a punto la fragranza Paris Premières Roses, caratterizzata dalla spensierata freschezza del fiore dei fiori, sublimato da mughetto, violetta e peonia. Una storia d’amore, quella tra il couturier e la Ville Lumière nata trent’anni fa con le languide note di un profumo divenuto un cult – Paris – e celebrata tre decenni dopo con un’edizione esclusiva, fresca e delicata. Una fragranza attuale seppur fedele all’esprit couture: tradizione e modernità insieme, proprio come lo stile Saint Laurent. Un bouquet parfumé in sintonia con il mood della Maison, che celebra la rosa quale emblema della femminilità per antonomasia. Una rosa reinterpretata nelle sue note più fresche, luminose e splendenti, sublimata nelle sue caratteristiche dagli altri fiori: il mughetto esprime le note cristalline, la wild rose rimanda alla rugiada, la peonia all’abbondanza, la violetta, invece, è un tocco vellutato e i fiori d’arancio sono la sensualità. A rinforzare l’aspetto voluttuoso, muschi e legno di sandalo.
Da una Parigi elegante e raffinata a una Berlino di carattere. Una fragranza tutta giocata sulle dicotomie quella di Serge Lutens, in cui gli estremi trovano singolare armonia in note olfattive che rivelano lo spirito della città tedesca ed evocano, al contempo, l’iconica Marlene Dietrich. Per Serge Lutens, Berlino è sempre stata caratterizzata da un’atmosfera fumosa e sofisticata, quintessenza degli più classici ossimori della Germania della prima metà del ‘900 e che ora trovano validazione della fragranza La fille de Berlin. Una visione lucida e affascinante quella di Lutens, che si ritrova anche nelle sue fotografie raccolte nel libro “Berlin à Paris”, un viaggio attraverso un mondo visionario dove gli scatti rivelano un’estetica colta e sofisticata. Nei suoi connotati più umani, Berlino assume così le fattezze di Marlene Dietrich, personalità disinvolta che affronta e scandalizza, che ama declinare il maschile al femminile, che sa unire in capo a sé estremi altrimenti inconciliabili. In termini olfattivi, tutto ciò può essere riassunto in una rosa furente e speziata, cipriata e persistente. Eros e Thanatos si mescolano, raggiungendo un’equilibrata perfezione d’essere, complice la forza dirompente del loro carattere, la stessa che può essere ritrovata nella mistura olfattiva di Lutens, quintessenza di forza e intensità, carattere e personalità.
Dall’Europa agli Stati Uniti: un volo pindarico reso possibile dalla fragranza di Elizabeth Arden, 5th Avenue NYC. Difficile definire New York, un febbrile andirivieni di traffico e folla, un perpetuo confluire di culture, un crocevia di vitalità. Un’anima imprendibile, la sua, tradotta in note profumate da Elizabeth Arden grazie a una nuova fragranza che aggiunge NYC al nome del celebre profumo 5th Avenue. Racchiuse in una bottiglia simile a uno skyscraper, di dispiegano nell’atmosfera note di bergamotto, quasi ad evocare la brillantezza delle luci di Manhattan, pesca e mela golden, vibranti quanto la sua vitalità. Il ribes nero e il gelsomino notturno siglano il magnetismo sensuale. A suggellare il tutto, ambra dorata, vaniglia e note di muschio vellutato. Il nuovo 5th Avenue mantiene l’essenza di quello originale, ri-portando in vita lo stile e il carattere della City. Un omaggio di Elizabeth Arden alla città che ha fatto la sua fortuna: proprio sulla Quinta strada, infatti, si trova la più celebre Red Door.
Amore passionale, invece, chez Gucci con la fragranza Guilty Black, mix di contrasti – dolce vs speziato su tutti – nonché un inno alla seduzione estrema.Un ritorno al lato più dark, misterioso e fascinoso, nell’evocazione concertata di femminilità e sensualità. Un’invocazione di quel lato proibito e, per l’appunto, colpevole. Se le prime due versioni di questa fragranza targata Gucci (Guilty e Guilty Intense) esaltavano la provocazione, Guilty Black celebra l’intrigo della passione ad alto tasso di pericolosità. E lo fa ricorrendo al sapiente mix di contrasti tra dolce e speziato – frutti rossi e pepe rosa, lillà e patchouli– che, inevitabilmente, tende a infinito il limite della potenzialità espressiva. Un profumo pensato per una donna avventurosa, conturbante e determinata, pronta a raggiungere con lucida precisione quello che vuole. Una donna che ama sorprendere, suscitare meraviglia, incantare col suo fascino e lasciare un ricordo indelebile negli altri.
Da note dark ad altre soft il passo è breve, soprattutto se proposto da Valentino con Valentina Acqua Floreale, un omaggio all’universo femminile, complice un bouquet frizzante e fresh. Perché essere felici è un diritto di tutte. Dalle note di testa all’insegna di bergamotto e neroli, si passa a un cuore di mimosa, il fiore che annuncia la primavera con il suo lato poudré dai sentori di miele, combinata con tuberosa e gelsomino, per arrivare a un fondo dominato dal patchouli, legno che dona sensualità.Un inno alla femminilità, rivolto a una donna elegante e romantica, emblema del lusso all’italiana. Ispirato ai giardini romani, ricchi di luce, colori e odori inebrianti, porta alla mente le note di un brano classico, rilassante e quieto ed evoca le note cromatiche di un giallo brillante e caldo, l’oro dell’estate, sottofondo privilegiato per l’entrata in scena di un abito primaverile, in seta leggera e colori pastello, firmato Valentino, ça va sans dire.
Stessa vena ispirazionale chez Dior, che ha rivisitato il profumo couture degli esordi, Miss Dior, realizzandone una versione eau de toilette che distilla romanticismo in una miscela olfattiva nuova e luminosa. Nel 1947, Monsieur Dior aveva chiesto ai suoi “nasi” Paul Vacher e Serge Heftler-Louiche di fare un profumo che sapesse d’amore. Il risultato fu un accordo profumato che evocava la scia raffinata delle donne eleganti della Belle Epoque. Un mood anche alla base della nuova versione edt, che racconta in modo quasi romanzato la vie en rose di tutti gli innamorati. Note floreali e di arancia sanguigna vestono il bouquet, combinandosi con aromi luminosi, essenza di neroli di Tunisia, rosa turca e patchouli indonesiano. È così che Miss Dior si fa ancora più espressiva, dando corpo a tutte quelle sensazioni tipiche di una donna innamorata, quali la leggerezza, la profondità, la voglia di giocare.
Jean Paul Gaultier, invece, ribadisce il suo culto divinatorio per la femminilità. E quale migliore occasione se non i 20 anni diClassique, sua fragranza icona? È il 1993 quando lo stilista crea una fragranza che, letteralmente, mette in scena la donna, trasfigurandola. Citando i canoni della femminilità, li stravolge nella loro espressività, creando un rapporto tesi-antitesi-sintesi nel mondo del profumo. In un simile rimando di discipline e forme artistiche, Gaultier crea il flacone più curvilineo della storia della profumeria, destinato a divenire un must. Oggi come allora, Classique è pensato per una donna che incarna pienamente l’ideale di femminilità: libera e seducente. Una donna che ama e si fa amare.
Un ritorno al passato per Chanel e la fragranza 1932, ultimo capitolo di Les Exclusifs, mitica serie di sillage couture.Un omaggio all’estro visionario di Mademoiselle Coco, che, nel 1932 per l’appunto, decise di realizzare la sua prima collezione di Haute Joaillerie, “Bijoux de Diamants”: stelle, comete, lune, perle, zaffiri rosa, ma, soprattutto, diamanti. Un raggio di luce nel buio di quegli anni tristi e difficoltosi, con il quale regalò sogni e meraviglia. Una preziosa intuizione, caratterizzata da linee morbide e sontuose, ma senza ostentazioni o fronzoli. Oggi, a distanza di 80 anni, la Maison ha deciso di celebrare questa magnificenza, realizzando una collezione di pezzi inediti (ottanta) che evocassero la storica raffinatezza e una nuova fragranza. Essenziale e prezioso come il diamante, il gelsomino è il cuore di 1932: un fiore bianco e prezioso, a forma di stella, il cui aroma, combinato a tenui note di iris e muschio, si posa con delicatezza sul collo al pari di un prezioso collier.
Un amore per la vita, invece, quello proposto da Giorgio Armani con le fragranze Acqua di Giò eAcqua di Gioia, che sintetizzano emblematicamente il senso dell’amore: quello per la vita nella sua totalità e nel diritto di esistere. Un messaggio che suona come un appello, complice la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi per l’emergenza idrica sposata dallo stilista, Acqua for Life, supportata quest’anno da Sean Penn. L’acqua come bene primario per la vita, anzi, come essenza stessa. Da qui, l’intenzione di agevolarne l’accesso a tutte quelle popolazioni che, ancora oggi, per raccoglierla devono percorre chilometri. Protagoniste dell’iniziativa, le due fragranze targate Giorgio Armani: all’acquisto di un profumo si donano 100 litri di acqua potabile, 50 con un like su facebook e altri 50 con un check-in sull’app Foursquare. 

LEISURE_Roma, Spazio Louis Vuitton: un omaggio alle icone del cinema italiano

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Arte e moda vantano un sublime legame, che ne esalta le rispettive specificità e, al contempo, genera un’inusuale liaison caratterizzata dall’amore per il bello nella sua autentica accezione.
Un amore validato dalle numerose contaminazioni stilose, che hanno eretto a protagonista la commistione di genere e specie di queste due discipline ed ora spintosi fino a lambire i confini della settima arte.
Complice l’ingegno e la lungimiranza di una delle Maisons più sensibili a questo legame – Louis Vuittonil cinema e la moda godono ora di un nuovo scenario in cui mostrare un loro nuovo volto comune, che rende omaggio ai capolavori italiani e alle loro rispettive interpreti, ponendo in risalto, di volta in volta, sfumature sempre diverse.
Dal 5 aprile prossimo, infatti, prende avvio il nuovo programma dello Spazio Etoile Louis Vuitton di Roma, che già dal titolo rivela il suo spirito evocativo: Roman Divas. Uno spirito in cui cinema e moda trovano celebrazione dei loro specifici valori e cantano all’unisono in un armonioso inno di esaltazione dell’arte nella sua totalità d’espressione.
Protagoniste di un simile e ambizioso progetto, le attrici romane che hanno fatto la storia del cinema italiano, divenendo le muse per le future generazioni di registi italiani ed internazionali. In particolare, cinque storiche attrici romane, di nascita o di adozione - Anna Magnani, Silvana Mangano, Virna Lisi, Monica Vitti e Ornella Mutiritratte in altrettanti episodi tratti dai film collettivi, le celebri commedie all’italiana d'autore, che osservarono e raccontarono la nostra società dagli anni Cinquanta agli anni Settanta.
Il nuovo programma “Roman Divas”, pertanto, è un omaggio a film, registi e attrici, tra i più cari al pubblico italiano e di cui si cerca di mettere in mostra gli aspetti salienti che ne hanno fatto la differenza, proiettandoli di diritto nell’olimpo della celebrità.
La spensieratezza di Roma degli Anni ’50 è raccontata nell’ironico e divertente episodio “Anna Magnani” tratto da “Siamo donne”, in cui l’attrice, diretta da Luchino Visconti, interpreta un’esuberante versione di se stessa. La macchina da presa di Mauro Bolognini, invece, indaga le relazioni e dinamiche di coppia in “Luciana”, tratto da “La mia signora” del 1964, in cui Silvana Mangano intreccia un flirt in aeroporto con uno sconosciuto; come nel film La donna” di Nanny Loyda “Made in Italy”, in cui Virna Lisi si confronta con le proprie scelte di vita. Ornella Muti e Monica Vitti, rispettivamente dirette da Mario Monicelliin “Autostop” da “I nuovi mostri” e Luigi Comenciniin “L’equivoco” da “Basta che non si sappia in giro”, sono protagoniste di episodi in cui avventure e scambi di persone danno vita a finali inaspettati.
Un volo pindarico sulla bellezza del cinema italiano della seconda metà del ‘900, il periodo più florido per la settima arte di produzione romana, quintessenza di professionalità, competenza e, soprattutto, autenticità. Un culto divinatorio, che ha portato a realizzare pellicole passate alla storia e a creare vere e proprie dive prima ancora che icone di quello stile di vita che, in men che non si dica, avrebbe conquistato il mondo intero. Un’epoca florida per l’espressione cinematografica italiana, che ora trova celebrazione con questa speciale mostra: un’occasione unica per ripercorrere le tappe salienti e fissare nella memoria, come tanti fotogrammi, la perfezione stilistica e tecnica nonché l’amore incondizionato per l’arte tout court.

SPAZIO ETOILE LOUIS VUITTON
Situato al secondo piano della Maison Louis Vuitton di Roma e circondato dalle più belle creazioni Louis Vuitton e da una libreria dedicata al cinema e suoi miti, lo Spazio Etoile riprende il nome di uno degli spazi più cari ai romani: l’emblematica sala cinematografica “Etoile”. Costruita nel 1907, all’epoca d’oro dei film muti, con il nome di “Lux et Umbra”, rinominata “Etoile” negli anni ’70 , la sala fu la sede d’elezione e il punto di riferimento per la cinefilia romana, ospitando prime visioni, cerimonie, proiezioni eccezionali e eventi culturali, sino alla sua chiusura  nel 1991.
Nel gennaio 2012 Louis Vuitton ha riportato in vita “Etoile” nel rispetto della straordinaria storia dell’edificio, offrendo a tutti i visitatori la possibilità di assistere a proiezioni di cortometraggi d’autore su grande schermo, con una programmazione periodica, selezionata intorno a tematiche ben precise. 
Un omaggio della Maison alla capitale del cinema e alle leggende che Roma, l'affascinante città della dolce vita, la Hollywood sul Tevere, ha saputo creare nel tempo.

Roman Divas
Spazio Etoile Louis Vuitton, Piazza San Lorenzo in Lucina 41, Roma
Dal 5 aprile al 5 giugno 2013 

LEISURE_The Little Black Jacket: la tappa italiana

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Parlando di Chanel e di nero verrebbe subito in mente il mitico tubino. E invece no…vi è un’importantissima parentesi dello stile di Mademoiselle che celebra la semplicità delle forme, dando vita a un altro intramontabile capo d’abbigliamento, un pezzo immancabile nel guardaroba di ogni donna dall’indubbio gusto: la Little Black Jacket, la Petite Veste Noire. Qualunque sia la lingua utilizzata, non cambia il significato racchiuso dalla giacchina nera di Chanel, divenuta, nel tempo, una vera e propria icona mondiale. Nata dall’estro anticonformista di Mademoiselle negli anni ’50 e disegnata oggi da Karl Lagerfeld, la giacca Chanel, nonostante le evoluzioni in termini di stile e gusto, rimane dritta, sfoderata, morbida. Una forma essenziale, pulita e lineare, a testimonianza di un’eleganza senza tempo, sofisticata e raffinata, versatile al punto tale da adattarsi ad ogni look, senza però perdere le sue caratteristiche dominanti. Un capo trasversale, valido per ogni occasione, ma, al tempo stesso, fortemente connotativo, inconfondibile in termini di carattere e personalità.
Un’icona di stile che oggi viene raccontata attraverso una serie di immagini scattate dallo stesso Lagerfeld, eclettico direttore creativo della Maison di Rue Cambon, in mostra fino al 20 aprile alla Rotonda della Besana a Milano. Un racconto romanzato, che spazia nel tempo grazie alle fotografie selezionate in collaborazione con l’ex direttore di Vogue Paris, Carine Roitfeld, e protagonista di un’esposizione itinerante che ha già toccato luoghi come New York, Parigi e Tokyo e approda ora in Italia, per proseguire, poi, verso est, passando per Dubai e la Cina. Un viaggio del mondo, svolto attraverso il linguaggio universale dello stile.
Le immagini in mostra, oltre 100, sono contenute nel volume “The Little Black Jacket: Chanel’s classic revisited by Karl Lagerfled and Carine Roitfeld”: ritratti di personaggi famosi che, affezionati alla grande heritage della maison francese e al modo in cui Lagerfeld la rilegge nella contemporaneità, hanno scelto di reinterpretare l'iconica giacca nera Chanel. Elisa Sednaoui la indossa sopra un tutù in tulle bianco, mentre Uma Thurman la sfoggia sopra una camicia in seta e pizzo dall'appeal anni ‘20. Donne, ma non solo: esposti anche i ritratti di Gaspard Uilleil, testimonial di Bleu de Chanel, e Kanye West, che reinterpreta la Little Black Jacket in chiave urbana, abbinandola a t-shirt e pantaloni di pelle nera.
Un capo unico, che vanta la sua iconicità nella propria identità rivoluzionaria: la giacca, infatti, è stata una delle grandi novità portate in passerella da Mademoiselle. Correva l’anno 1954: Coco Chanel, che aveva già trasformato radicalmente il guardaroba femminile, interpretando con le sue creazioni le esigenze di una donna sempre più dinamica e indipendente, a 71 anni - e con l'intenzione di rilanciare la propria Maison – decide di rivisitare uno dei pezzi chiave dell'abbigliamento da uomo. Complice una buona dose di pragmatismo e ricercatezza allo stesso tempo, conquista immediatamente il favore di icone di stile dell’epoca del calibro di Romy Schneider e Jacqueline Kennedy.
Un amore a prima vista, quello per la giacca Chanel, che rimane immutato nel tempo, tanto da indurre la Maison a dedicarle il quarto capitolo del progetto Inside Chanel, un insieme di video pensati per narrare via web, con immagini storiche e interviste inedite, la storia del marchio. La giacca viene raccontata da Lagerfeld come “il simbolo di un'eleganza disinvolta, atemporale e intramontabile”. Fiera della sua heritage, la giacca è arrivata ai giorni nostri intatta nel suo stile, complice l’inconfondibile cifra stilistica di Kaiser Karl e il savoir-faire delle sarte che lavorano nei laboratori di Rue Cambon. La Little Black Jacket è frutto di una dedizione artigianale e di un’abilità manuale che la rendono un oggetto unico. Dal momento della consegna del bozzetto, firmato da Lagerfeld, al capo dell’atelier, le fasi di realizzazione sono cinque. Nella prima, lo sketch sembra prendere vita, nelle forme e nelle proporzioni: le cuciture vengono tratteggiate sulla mussola di cotone; le sezioni di tessuto che vanno a comporre la giacca vengono appuntate sul manichino di legno: una volta concluso questo procedimento, le sarte riportano le sezioni della giacca sul tweed nero, aiutandosi con le cuciture tratteggiate sulla mussola, e li tagliano; la giacca è così pronta per essere assemblata: prima il busto, poi le maniche e infine le tasche, le cuciture sono fatte in parte a mano e in parte a macchina; l'ultima fase è il finissage: vengono applicati i bottoni e viene inserita una catena metallica, dello stesso colore dei bottoni, che permette alla giacca di adattarsi al meglio al corpo, in modo che il fit sia impeccabile. Una volta finita, la giacca viene visionata da Lagerfeld con la stessa perizia che un tempo è stata di Mademoiselle Coco.
Nel tempo, è stata protagonista di un graduale cambiamento, soprattutto in termini di proporzioni. Il modello ritratto nel libro è il più classico, in altre parole, quello che più si avvicina all’originale creato da Mademoiselle Chanel.
La Little Black Jacket, quindi, come un pezzo senza tempo, al pari del jeans o della t-shirt bianca. A dimostrazione che per essere eleganti non c’è bisogno di sfoggi e sfarzi vari, ma di semplici codici vestimentari in grado di mettere in risalto carattere e personalità, evitando gli eccessi di anonimato e ostentazione.

“The Little Black Jacket: Chanel’s classic revisited by Karl Lagerfled and Carine Roitfeld”
Rotonda della Besana, Milano
Fino al 20 aprile 2013

ABOUT_Futurismo e moda

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Arte e moda non sono due concetti antitetici, bensì la storia offre numerose testimonianze di floride e importanti contaminazioni, come nel caso del Futurismo.Filippo Tommaso Marinetti, padre del movimento artistico in questione, infatti, non solo evitò per tutta la vita di deplorare le insostenibili leggerezze della moda (abituale atteggiamento d’intellettuali e poeti), ma, addirittura, la assunse come il codice di comportamento ideale per gli artisti destinati davvero alla grandezza, invitati a rinnovare i loro modelli a ogni stagione proprio come i couturier francesi rinnovavano i loro. Se queste sono le premesse, non vi è da stupirvi se proprio nelle loro proposte di abbigliamento – complici personaggi del calibro di Balla, Depero, Prampolini, Thayaht - vi siano stati preziosi suggerimenti per il costume quotidiano del XX secolo.
Due su tutti i documenti – o meglio manifesti - che racchiudono un simile tesoro: il primo di Balla, Le vêtement masculin futuriste, 1914, del quale esiste la versione italiana Il vestito antineutrale; il secondo, Ricostruzione futurista dell’universo, 1915, firmato a quattro mani dallo stesso Balla e da Depero. In entrambi i casi si tratta di prove concrete, dimostranti come le abituali parole d’ordine futuriste – tra cui velocità e dinamismo – non possano che riflettersi direttamente nella moda di una stagione sempre più segnata da eventi drammatici e incontrollabili. In tal modo, il tanto celebrato vestito antineutrale, all’incombere della prima guerra mondiale, non poteva che essere interventista, colorato, fosforescente, igienico, gioioso, teutonico e via dicendo. Quello che si propugna, pertanto, è un abbigliamento comodo e funzionale (adatto anche in tempi di pace), che abbandoni il nero, il grigio e le mezze tinte, per portare lo slancio futurista nelle strade, nei salotti, a teatro. Non è un caso, infatti, se gli esempi più convincenti di un tale abbigliamento si troveranno proprio sul palcoscenico. D’altra parte, è anche vero che i più fedeli seguaci di Marinetti – assertori irriducibili di uno stretto rapporto tra l’arte e la vita - non potevano assolutamente limitarsi alla mera proposta ideologica. Le loro argomentazioni richiedevano di prove pratiche: pertanto, i bozzetti o anche i semplici discorsi nei caffè, diventavano le occasioni nelle quali enfatizzare il loro stile, fatto di squilibri e asimmetrie, come il solo antidoto ancora efficace contro il mediocre e conformista “buon gusto” della classe media borghese. E via allora di gilet sgargiantissimi tagliati in tessuti dal disegno inusuale; cravatte di metallo e lampadine trasformate in cravatte; giacche da sera con una manica tonda e l’altra quadrata; cappelli e copricapi di ogni foggia e dimensione; tute arcobaleniche a coni e losanghe ritagliate e messe insieme in stoffe diversissime l’una dall’altra, tecnica antesignana del moderno patchwork; scarpe spaiate anche nel colore e una quantità di accessori – i famosi “modificanti” – che bastava applicare qua e là con speciali “bottoni pneumatici”, a proprio piacimento, per cambiare in un attimo la stessa struttura dell’abito.
Una nozione di abbigliamento rivoluzionaria e anticonformista, che elogiava l’eccesso come unico codice vestimentario accettabile e mirava, al contempo, alla liberazione degli uomini, essendo stata la moda femminile “sempre più o meno futurista”, come si leggeva in un accattivante manifesto del 1920: una sorta di omaggio – tanto precauzionale quanto italiano – del figlio maschio del Futurismo alla mamma.
Dell’esperienza futurista nulla è andato perduto: la storia della moda narra come gli abiti siano stati ripresi negli anni dagli stilisti quale fonte d’ispirazione, rappresentando un vero e proprio stile nonché un codice di valori e significati da leggere e interpretare secondo i canoni contemporanei. Uno slancio sempre e comunque al futuro, al tempo che verrà, con quella stessa voglia di liberazione dai dettami imposti dalla società di ogni tempo.  

PEOPLE_Richard Avedon: uno nuovo modo di fare fotografia

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Fotografo americano, tra i più grandi nel panorama della moda, ha avuto il grande plauso di rendere i modelli delle sue immagini – scattate a partire dagli anni ’40 – attori di scenari inusuali per le abitudini dell’epoca: zoo, circhi, piste di lancio, discariche di rifiuti. Antesignano di quello che poi diventerà il moderno concetto di redazionale di moda, Richard Avedonfa uscire il set dallo studio, ambientandolo in luoghi sempre diversi, originali e, proprio per questo, fascinosi. Uno sguardo visionario sulla fotografia, autenticato dall’incoraggiamento dei suoi soggetti a muoversi il più liberamente possibile, in modo da ottenere immagini spontanee, veritiere e di grande naturalezza.
Dopo aver studiato filosofia alla Columbia University, parte per la guerra. Al suo ritorno, nel 1944, inizia a occuparsi di fotografia e conosce Alexey Brodovitch, il direttore artistico di Harper’s Bazaar, per cui inizia a lavorare nel 1945. Un’atmosfera dai toni intellettuali, quella di Brodovitch, dalla quale Avedon non si distacca più.  La collaborazione con la rivista prosegue anche con i successivi direttori, sino al 1984: un lavoro portato avanti in tandem – dal 1966 al 1990 - con Vogue.
Avedon nelle sue fotografie punta l’obiettivo sulla “geografia emozionale” del viso e del corpo; utilizza particolari ottiche grandangolari, profonde angolature e luci stroboscopiche. Tratto distintivo del suo stile, lo sfondo: quasi sempre bianco, svuota l’immagine, per privarla di qualsiasi riferimento.
Ha scoperto e lanciato le modelle più importanti, da Dovina a Suzy Parker a Veruschka, da Twiggy a Penelope Tree, passando per Lauren Hutton a Benedetta Barzini.
Al grande pubblico il suo lavoro è balzato agli occhi attraverso campagne pubblicitarie e spot televisivi per Revlon, Chanel, Dior e Versace nonché per oi calendari Pirelli del 1995 e del 1997.Devoto alla novità in tout court intesa, è stato il primo a fotografare un uomo per la copertina di una rivista femminile: si trattava di Steve McQueen.
Innumerevoli i suoi scatti così come le rassegne a lui dedicate: nel 1974, i suoi ritratti del padre Jacob Jsrael al Metropolitan of Modern Art (Moma); nel 1978, una retrospettiva delle sue foto di moda al Metropolitan Museum of Art di New York; nel 1994, invece, una grande mostra itinerante, intitolata Evidence, 1944-1994

LEISURE_Salone del Mobile: Frette At Home

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Salone del Mobile – e in particolare Fuorisalone - vuol dire per Milano un susseguirsi irrefrenabile di appuntamenti, vernissage, inaugurazioni, special exhibition, che animano la città e attirano veri e propri estimatori e cultori della materia così come semplici appassionati e curiosi. In mostra, il meglio del meglio del design, inteso nelle sue accezioni di vera e propria condizione irrinunciabile di uno stile di vita che strizza sempre di più l’occhio al confort e alla qualità, in una commistione di generi e reminiscenze, che denotano la reciproca influenza delle differenti espressioni artistiche.
Innumerevoli gli appuntamenti si diceva…
Nella serata di ieri, giornata d’apertura dell’edizione 2013, il brand Frette At Home, in attesa del lancio ufficiale e dell’imminente apertura del flagship store di Corso Vercelli, ha dato anticipazione di sé, allestendo un elegante Temporary Design Store nel quale sono esposte le collezioni per tutto il mese di aprile. Teatro privilegiato, lo spazio di Vincenzo Dascanio, direttore creativo del nuovo brand, situato nella centralissima Piazza Missori. Ad allietare l’atmosfera, due main partner: la rivista Marie Claire Maison, presente con Marie Claire Maison Café, e QVC, l’innovativo canale televisivo e portale di vendita online, che per l’occasione ha allestito una lounge dedicata a eventi e incontri.
In un’area espositiva di 400 mq, disposta su due livelli, Frette At Home ha offerto al proprio pubblico, che spazia da trend setter e professionisti del settore sino a uno più eterogeneo e curioso, un’ampia selezione di prodotti tessili, complementi d’arredo ed accessori per la casa. Il tutto inserito in una scenografia perfetta, curata nei minimi dettagli. Ogni elemento dell’allestimento, infatti, è frutto di una riflessione accurata, che coglie l’essenza dell’avventura del nuovo marchio, raccontando uno stile “d’abitare” nato da libere associazioni, cromatismi inediti, contaminazioni culturali e soluzioni sorprendenti per semplicità e sintesi. Uno stile che attraversa il mondo del tessile, spingendosi sino agli ambienti di vita quotidiana - letto, tavola, bagno, ecc. – e toccando i sensi con superfici dalle valenze tattili ineguagliabili o con fragranze e profumazioni che disegnano i luoghi attraverso una geografia dell’olfatto. Le collezioni presentate hanno una matrice comune: il gusto, la ricerca, l’eleganza della tradizione italiana. In altre parole, quelle stesse caratteristiche che portano lo stile di vita made in Italy in tutto il mondo, enfatizzandone l’unicità, il senso del bello, l’artigianalità e il lusso: dettagli che, ancora oggi, restano inimitabili.
Colori, tessuti e materiali diventano gli elementi di un alfabeto compositivo che esalta la tradizione con ironia, eleganza e leggerezza, complice l’utilizzo di linguaggi differenti – dal classico rivisitato (NeoItalian), all’ibridazione degli stili e dei modelli di vita (Hybrid), allo stile Smart, fresco e guizzante in linea con una visione del mondo in costante rinnovamento. Tra i prodotti esposti, una serie di vasi della collezione Cinque Terre, tra cui Corniglia, Monterosso, Vernazza, che s’ispirano alla natura mediterranea per i colori e la texture delle superfici. La bellezza della costiera amalfitana, invece, è racchiusa nell’originale vassoio cuscino Positano, mentre le posate Vulcano rimandano alle meraviglie delle isole laviche. Non mancano, inoltre, citazioni alle città d’arte come Firenze: sulla tavola trovano dimora l’alzata per dolci, tazza e mug della linea Uffizi, in cui le superfici bagnate restituiscono allusioni alle architetture rinascimentali della città del Brunelleschi.

FRETTE: AT HOME: TEMPORARY STORE
Spazio Vincenzo Dascanio, Via Gonzaga 7, angolo Piazza Missori
Dal 2 al 24 Aprile 2013, ore 8.00-19.30

LEISURE_Salone del Mobile: Louis Vuitton presenta Objets Nomades

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Fitto e frenetico il susseguirsi di appuntamenti glamour e chic per le vie di Milano in occasione del Salone del Mobile. Un crocevia di persone, passioni e creatività alle quali anche i grandi brand non sanno resistere, confermando la loro vocazione stilistica.
Un fascino che ha colpito Louis Vuitton, il quale, ieratico e puntuale come sempre, ha risposto con una speciale collezione di oggetti di design ispiratiça va sans direal viaggio: Objets Nomades.
13 designer di fama internazionale hanno reinterpretato con eleganza e sobrietà – tratti caratteristici del marchio - I’arte del viaggiare, realizzando altrettanti articoli che rendono omaggio ai tradizionali Special Order di Louis Vuitton.
L’intera collezione degli Objets Nomades è esposta nello store di via Montenapoleone 2, con un allestimento unico ed evocativo, che sottolinea gli incontri tra lo spirito del viaggio di Louis Vuitton e la visione originale e all’avanguardia di affermati designer.
La Maison è sinonimo dell’arte del viaggio elegante sin dal 1854, data della sua fondazione. Objets Nomades ne condivide l'innovazione, la passione per la creazione e per il lusso, perpetuando la tradizione di offrire ai propri clienti nuove visioni relative al modo in cui viaggiare. La collezione si compone di edizioni limitate, pezzi unici e prototipi sperimentali, tutti realizzati in materiali nobili e con l’iconico cuoio Nomade Louis Vuitton.
Da un’amacaad uno sgabello interamente ripiegabile in pelle Nomade, da una scrivania da viaggio al Maracatu, un visionario cabinet de voyage, Objets Nomades guarda alla tradizione della Maison con lungimiranza, combinandone l’autentica vocazione con uno slancio avveniristico. Ecco, quindi, che bauli da viaggio speciali, rigorosamente su ordinazione come l'iconico Baule-Letto (1880) realizzato per l’esploratore Pierre de Brazza o il Baule-Scrittoio ideato per il compositore Leopold Stokowski (1929), si arricchiscono di un tocco contemporaneo e ribelle, dotandosi di un’anima nuova, sia in termini meramente estetici che effettivamente funzionali
L’innovativa Beach Chair, ispirata all’iconica cinghia utilizzata per assicurare e richiudere perfettamente bauli e valigie, o la romantica panca Love Bench dedicata agli “amanti nomadi”, sono solo altri due esempi di come Louis Vuitton possa essere fonte di ispirazione per il design contemporaneo, in una felice contaminazione di generi e arti. Una commistione che enfatizza lo spirito intrinseco della Maison, attenta con amabile devozione a non tralasciare alcun aspetto di uno stile di vita che dell’eleganza e della sobrietà fa i suoi tratti distintivi.

Objets Nomades
Louis Vuitton Montenapoleone
via Montenapoleone, 2 Milano
9 - 14 aprile 2013
orari 10.00 - 20.30

LEISURE_Salone del Mobile: Ossessione italiana

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La cosa più difficile quando c’è un’ossessione è pensare ad altro. Questa deve essere la considerazione che ha spinto alla realizzazione di “Ossessione italiana”, la mostra-evento incentrata sulla capacità progettuale ed esecutiva della migliore produzione italiana. Un percorso fondato sulla passione per il dettaglio e la qualità del manufatto, sulla devozione e vocazione quali elementi fondativi del made in Italy, presentato dal 6 al 14 aprile 2013 in occasione della fiera d’arte Miarte rientrante nel circuito di eventi del Fuorisalone.
Scenografica la mostra, curata da RestartMilano, così come la location, MdP1, uno degli storici palazzi di Brera.
In “Ossessione Italiana” sono riuniti una serie di manufatti e progetti che, nello specifico della loro storia individuale, seguono il medesimo filo conduttore di una passione “fine a se stessa” per la qualità e il dettaglio, che non trae le sue motivazioni da un mero scopo di posizionamento sul mercato, ma che origina dal bisogno di espressione dei singoli autori. Accanto ad alcuni prodotti presentati negli anni scorsi, sono proposte realizzazioni che sviluppano ed espandono la creatività degli ultimi anni. In mostra in anteprima per il grande pubblico vi sono cinque nuovi oggetti, tra cui un sistema di librerie componibili e un nuovo wall desk, srittoio e postazione di lavoro verticale.
Per l’edizione 2013, RestartMilano ha voluto inserire la collezione in un contesto di affinità progettuali fondate sui medesimi valori che ne hanno ispirato la ricerca. Da qui, la scelta di mostrare, tra gli altri, la meticolosità sartoriale della camiceria Finollo, la ruvida grazia della velocità sull’acqua del motoscafo Seppietta Riva, l’amore per il decoro e la grande capacità manuale dello sfilato siciliano, il recupero dei metodi tradizionali dell’ebanisteria Ghianda, l’opportunità del nuovo di Adriano Olivetti, le utopie urbanistiche indagate dall’artista Patrizio Di Massimo.
Un allestimento unico, che unisce oggetti legati al mondo dell’arte, del design, della nautica, della moda e dell’alto artigianato, le esclusive specialità dolciarie di Babbi e le eccellenze gastronomiche del Triangolo dell’Olio.

Ossessione Italiana
Fino al 14 aprile, dalle 11.00 alle 19.00
MdP1, via Monte di Pietà 1, Milano


RestartMilano
Luca Liberali e Maurizio Navone hanno lanciato RestartMilano, in occasione del Salone delMobile 2010, con l'intento di proporre una serie di manufatti profondamente radicati nella storia deldesign e della capacità esecutiva tipica della produzione italiana.
RestartMilano si è imposto all’attenzione degli appassionati di design attraverso la propria ricercasulla tradizione progettuale italiana e le sue forme, i suoi materiali, le sue lavorazioni,riconfigurandoli con sensibilità contemporanea.
Si è proposto, sin dall’inizio, di offrire una produzione interamente locale, basata sulla capacitàsedimentata di artigiani e piccole officine di offrire delle realizzazioni in cui l’apporto di esperienza ecura del produttore diventa parte integrante del progetto.
La collezione, disegnata da Maurizio Navone, recupera le forme e le funzioni caratteristiche siadel lavoro dei grandi maestri sia del classico anonimo e le integra in un contesto nuovo,evidenziandone i valori fondamentali attraverso un'attività di progettazione che esalti il contributodel gesto produttivo, parte integrante del contenuto degli oggetti. Nascono in questo modolampade, mobili e complementi di arredo che rievocano memorie e, allo stesso tempo, si innestanonella contemporaneità, con l'intenzione esplicita di diventare dei classici immediati.
La realizzazione della produzione di RestartMilano è affidata a una rete di piccole officine italiane che, negli anni, hanno sviluppato una consuetudine con il dettaglio e una pratica di qualità. Ilconfronto con questo mondo fertile di saperi stratificati e sedimentati nel tempo conferisce unsapore artigianale a un prodotto che, allo stesso tempo, vuole essere industriale e per molti, anchese non per tutti.
Nonostante la giovane vita, RestartMilano ha ricevuto l'attenzione di estimatori e di alcunetra le più importanti pubblicazioni di settore.

LEISURE_Salone del Mobile: Swarovski Elements

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SWAROVSKI ELEMENTS offre il proprio sostegno alle sfavillanti creazioni di cinque brand e designer internazionali presenti a Salone del Mobile ed Euroluce 2013 dal 9 al 14 Aprile 2013. Ilfari, Mariner, David Trubridge, Windfall e Beby presenteranno pezzi da esposizione e articoli in vendita sul mercato realizzati con le innovazioni 2013 della gamma lighting SWAROVSKI ELEMENTS.

L’innovativo marchio Olandese di design, Ilfari, è famoso per la sua prospettiva altamente concettuale e un’influenza barocca capace di rivoluzionare sia interni moderni che classici. Il suo splendido lampadario incorpora Crystal Fabric SWAROVSKI ELEMENTS e il nuovo Rectangular Prism.
(Euroluce 2013, Padiglione 13, Stand E-03. www.ilfari.com)
Rinomato sin dal 1893 per i suoi interni lussuosi, il marchio Spagnolo Mariner propone sistemi di illuminazione che sposano mirabilmente tecniche moderne e tradizionali. Il suo nuovo lampadario è impreziosito con SWAROVSKI ELEMENTS.
(Euroluce 2013, Padiglione 11, Stand M-23. www.mariner.es)
L’installazione del Neozelandese David Trubridge,ispirata alla mitologia Maorie intitolata “Light Rain”, incorpora una luce scintillante dalla quale si snodano file di Polygon Drop SWAROVSKI ELEMENTS.
(Temporary Museum For New Design del Salone del Mobile, Superstudio Più, Stand 11b, Via Tortona 27 – Zona Tortona. www.davidtrubridge.com)
Il marchio Tedesco di sistemi di illuminazione di tendenza Windfallespone un nuovo design impreziosito da SWAROVSKI ELEMENTS in Crystal Blue Shade.
(Fuorisalone: Palazzo Durini, Via Santa Maria Valle 2, 20123 Milano. www.windfall-gmbh.com)
Bebyaggiunge un pizzico di fascino rinascimentale italiano ai sistemi di illuminazione contemporanei. Famosa per la sua capacità di integrare sapientemente tecnologia con tradizione artigianale locale, la sua nuova ed entusiasmante creazione incorpora SWAROVSKI ELEMENTS.
(Fuorisalone: Showroom Beby Italy – Diluce, Via Tortona 37, Milano. www.bebyitaly.com)
in particolare, quest’anno Beby si propone al pubblico con la nuova linea per interni Beby Italy Basic, che raccoglie l’esperienza del brand maturata nell’illuminazione classica di prestigio per dedicarla a un target più ampio, applicandola a innovative dimensioni architettoniche, caratterizzate da spazi abitativi con altezze inferiori e ad ambienti più informali, giovani e moderni. Nuove connotazioni e destinazioni d’uso che hanno spinto la designer Silvia Broggian a ridisegnare e ridefinire i canoni stilistici propri dei modelli tradizionali attraverso una razionalizzazione delle linee di costruzione, delle forme e dei volumi delle creazioni. Un’attenzione particolare verso il design e la progettazione tecnica che si accompagna all’introduzione di nuove tecnologie volte a conferire all’illuminazione importanti caratteristiche funzionali e sceniche.
 Caratteristiche che traducono i valori di una collezione interamente disegnata e prodotta in Italia, simbolo di un autentico Made in Italy, che eredita un know-how di assoluto e riconosciuto valore e la maestria artigianale nella lavorazione del vetro di Murano e nella scelta/confezione sartoriale di pregiati e raffinati tessuti. Segni distintivi che si arricchiscono dell’assoluta lucentezza e luminosità dei cristalli SWAROVSKI ELEMENTS, proposti in esclusive e prestigiose nelle varianti selezionate in considerazione delle tendenze stilistiche e disponibili grazie alla pluriennale partnership con SWAROVSKI ELEMENTS .
Grazie alla capacità di fondere le qualità artistiche e suggestive con uno straordinario talento in termini di design concettuale, designer e brand di tutto il mondo continuano a porre SWAROVSKI ELEMENTS al centro delle loro idee creative, realizzando prodotti unici nel loro genere, tripudio di garbata fastosità e devozione artistica.
SWAROVSKI ELEMENTS è il marchio che identifica gli elementi di cristallo più pregiati, prodotti da Swarovski.Scelta d’elezione dei designer fin dalla fondazione dell’azienda nel 1895, i prodotti SWAROVSKI ELEMENTS offrono innovazioni in linea con le tendenze di tutto il mondo dei settori moda, gioielli, accessori, design di interni e illuminazione.
Disponibile in una miriade di colori, effetti, forme e misure, la linea SWAROVSKI ELEMENTS offre ai designer una favolosa tavolozza di ispirazioni. Dalla passione per i dettagli e da un taglio di alta precisione, nascono elementi capaci di donare luce glamour e raffinatezza.
Questi preziosi ingredienti si riconoscono dall’etichetta “MADE WITH SWAROVSKI ELEMENTS”, certificato di garanzia che contraddistingue i prodotti realizzati con autentici SWAROVSKI ELEMENTS.
Swarovski, azienda gestita da membri della famiglia da oltre cento anni, con profondi valori di integrità, rispetto ed eccellenza, è rinomata sia per la sua etica commerciale sia per il talento artistico e innovativo.

Nel 1895 Daniel Swarovski – un inventore boemo dotato di spirito visionario – si trasferì nel paesino di Wattens, nel Tirolo austriaco, con la sua recente invenzione: una macchina per tagliare e lucidare le pietre in cristallo per gioielleria. Da quest’esordio rivoluzionario per il mondo della moda, Swarovski è diventato il principale produttore al mondo di cristallo tagliato per i settori della moda, della gioielleria e – più recentemente – dell’illuminazione, dell’architettura e dell’interior design. Oggi l’azienda Swarovski, che appartiene ed è gestito dai componenti della quinta generazione della famiglia, vanta un’estensione globale con circa 26.100 dipendenti, opera in oltre 120 paesi e, nel 2011, ha totalizzato un fatturato di 2,22 miliardi di euro. Swarovski riunisce due attività principali: la prima produce e commercializza componenti in cristallo per le industrie e la seconda crea prodotti finiti improntati al design.
I cristalli Swarovski sono diventati un ingrediente essenziale del design internazionale. Dal 1965, la società si rivolge anche al settore gioielleria con gemme autentiche e artificiali con taglio di precisione. A testimoniare la creatività che anima l’azienda, le sue linee di accessori, gioielli e oggetti per la casa sono vendute in più di 2.200 negozi nel mondo. La Swarovski Crystal Society vanta quasi 300.000 iscritti in tutto il mondo, appassionati collezionisti delle famose creazioni figurative. A Wattens, “Swarovski Kristallwelten” – il museo multimediale del cristallo – è stato inaugurato nel 1995 in omaggio all’universo Swarovski di innovazione e ispirazione.

www.swarovski-elements.com 

LEISURE_Salone del Mobile: Baccarat illumina Palazzo Morando

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Come ogni tradizione che si rispetti, anche quest’anno Baccarat,celebre Maison di cristalleria, presenta i suoi splendori in occasione del Fuorisalone nella meravigliosa cornice di Palazzo Morando.
In un percorso che celebra l’Art de vivre francese, espone al grande pubblico la sua ultima collezione di luci, quintessenza di tradizione e innovazione, raffinatezza e nuove tecnologie, con la suggestiva scenografia “Baccarat Highlights 2013”. Dalla Tour Eiffel intravista nell’alba fino al tramonto sull'Opera di Parigi, la mostra mette in risalto la magia del cristallo e i suoi molteplici riflessi. Dall'interno all’esterno e attraversando una teoria di giardini, ogni creazione rivela il suo fascino sullo sfondo della Ville Lumière.
A firmare gli articoli, designer di fama internazionale. Philippe Starck, prosegue la sua conversazione "infinita" con il lampadario Zenith, servendosi di cristallo ed elementi animalier in vetro di Murano, ma anche di nastri di neon, specchi di Lumisheet e marmo; Jaime Hayon, invece, completa la collezione Candy Light in versione Baby e lancia un lampadario multistrato che può arrivare fino a 40 luci. Arik Lévy, dal canto suo, propone un “lampadario mobile” e un innovativo progetto d’illuminazione “architetturale” grazie alle sue “piastrelle di cristallo” (Tuile de Cristal), proseguendo nella ricerca del suo ideale di luce perfetta. Disponibile in due motivi – Piccadilly e Frozen – questa creazione diffrange la luce attraverso la giustapposizione su una tela di metallo bianco. Grazie ai suoi eleganti contrasti strutturali, queste “piastrelle in cristallo”, tripudio di alta maestria squisitamente Baccarat e tecnologia led, offrono innumerevoli combinazioni, divenendo elementi che possono essere composti virtualmente a piacimento. In altre parole, le Tuilessembrano la proiezione di frattali nel cristallo – montate, per l’occasione, in un lampadario d’impatto. Possono diventare pareti, divisori o, semplicemente, elementi architetturali a discrezione dell’architetto o del cliente (che potrà anche scegliere un diverso disegno per la “piastrella” con ordine personalizzato), con la speciale funzionalità di essere una fonte di luce e di continuità.
Il lampadario assume così una nuova veste, che si spinge oltre quella del classico chandelier, che pure rimane una pietra miliare nella tradizione della Maison. Non contento, Lévy, da sempre affascinato dalle sculture di Alexander Calder, rivista la sua celebre lampada Torch, creandone una versione mobile, metafora, per così dire, della luce in movimento. Disponibile con due o quattro paralumi, la struttura in metallo nero o argento galleggia nell’aria come una piuma con effetti luminosi e scintillanti.
Philippe Nigro, invece, presenta un lampadario “modulare” e una delicatissima lampada di ispirazione asiatica a fattura très Baccarat. I fratelli brasiliani Fernando e Humberto Campana, alla loro prima collaborazione con la Maison, espongono la collezione Fusion, un’unione di materiali ed expertise diverse, un ponte tra Vecchio e Nuovo Mondo, una combinazione tra Art de vivre francese e forza della natura brasiliana, un incontro di culture e territori creativi diversi. Dalle lanterne ai lampadari flambeau, dalle lampade a sospensione rivestite in rattan colorato e intrecciato fino al lampadario Zénith a 24 luci, rivisitato ed esaltato da rami e portalampade di bambù, i modelli che i fratelli Campana hanno disegnato per Baccarat reinterpretano l’heritage e diversificano l'uso primario dei materiali, portando alla creazione di oggetti autenticamente preziosi. 

A interpretare la femminilità della Maison, invece, Louise Campbell con un sontuoso lampadario “nervoso”, in cui la bellezza dell’imperfezione viene costruita pezzo per pezzo dalla mano dell’artista, dando vita a una composizione asimmetrica (49 luci e una candela).
Creazione ma non solo….chez Baccarat si parla anche di sperimentazione grazie agli studenti dell’ECAL, l’Ecole Cantonale d'Art di Losanna, i quali affrontano un esercizio su Harcourt, il bicchiere icona di Baccarat che, questa volta, si fa luce. L’eleganza in crinolina diventa cool e contemporanea con alogene e led grazie al lavoro di Jean-Marc Gady mentre la collezione ispirata ai vasi della Maison è a cura di James de Givenchy.
Il cristallo, ancora una volta, fiero della sua preziosità, guarda al futuro, divenendo una fonte di luce non convenzionale, in bilico tra arte e design, esaltazione di luoghi lontani e tempi andati.

Baccarat Highlights 2013
Palazzo Morando, via Sant’Andrea 6, Milano
Fino al 14 aprile, dalle 10.00 alle 20.00 

LEISURE_Salone del Mobile: Arosio Interiors party event

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In occasione del Fuorisalone, ogni angolo di Milano diviene teatro privilegiato di special exhibition, opening, vernissage e presentazioni.
Lo storico Palazzo dell’Hotel Four Seasons, venerdì 12 aprile ha ospitato il “Chic Cocktail Party” di Arosio Interiors: un percorso di eleganza e sobrietà in una cornice di eccellenza, impreziosito nel salone principale dall’esclusiva linea di tessuti e divanidel brand, che ha donato un’allure sofisticata.
Ma le soprese non finivano qui….l’esposizione si prolungava idealmente nel cortile interno, dove era collocato un cubo quale scrigno dellasedia lounge Leaf di Patrick Jouin, sviluppata da matteograssi, partner dell’evento, tra le eccellenze nel campo della lavorazione della pelle e del cuoio, e nel giardino sovrastante in cui trovava valorizzazione l’elegante Collezione outdoordi Pierangelo Bonacina - anch’egli partner dell’evento – con la complicità di una luce soffusa e delicata di lanterne e candele.
Un evento di qualità e prestigio, caratteristiche che per la Famiglia Arosio sono un imperativo e una filosofia: un insegnamento trasmesso da Giulio Arosio alle figlie Simona e Micaela.
Grazie a una costante attività di scouting nonché all’autentica devozione alla sperimentazione, Arosio Interiors è in grado di proporre al cliente più esigente e aggiornato le linee più esclusive delle migliori Maison del settore Home Textile – Arredo e Interiors.
In un’atmosfera glamour e sofisticata, tra le note jazz e lounge del sax, del flauto e dell’accordion di Max Turati, hanno preso parte all’evento numerosi ospiti, un mix di esperti, appassionati e personalità del mondo dell’arte, dell’industria, dello spettacolo, della cultura e del social milanese ed internazionale, tra i quali Salvatore e Luisa Carrubba, Beppe Modenese, Piero Pinto, Armida e Manlio Armellini, Umberto Quadrino, Carla Tolomeo, Gisella Donadoni, Roberto Alessi, Alessandra De Marco, Maureen Salmona, Roberto Spada, Betta Gancia Fontana, Pierre Picavet. 

LEISURE_Salone del Mobile: The best of

STYLE_Valentino si ispira a Vermeer

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Il fascino discreto del made in Italy. L’eleganza sofisticata dell’artigianalità che trova realizzazione in capi unici, frutto di un estro visionario e di un’abilità manuale senza eguali. L’inconfondibile cifra stilistica di una tradizione creativa che unisce sapientemente classicità e innovazione, rigore manifatturiero e vocazione sperimentale, cura per il dettaglio, ricercatezza formale e cultura iconografica. Nulla viene lasciato al caso: ogni particolare è frutto di uno studio meticoloso, di pensieri e suggestioni che racchiudono precisi significati e valori. Si tratta della moda italiana che tutto il mondo guarda con ammirazione e reverenzialità, quintessenza di spirito imprenditoriale, qualità artigianale ed emozione artistica.
Emblematica, in tal senso, l’ultima sfilata di Valentino nella Ville Lumière: una collezione autunno/inverno 2013 che rappresenta un vero e proprio gioiello, sia in termini di qualità che d’identità. Quella stessa identità della moda italiana che sa imporsi con garbata determinazione su ogni palcoscenico internazionale, facendo grande il nome del nostro Paese ed esportando, con esso, tutti i valori unici ed inestimabili che nel tempo ne hanno tracciato in maniera indelebile il profilo.
Ad ispirare la coppia creativa della Maison – Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli – l’arte e, in particolare, la pittura fiamminga secentesca. Un omaggio a Jan Vermeer e alle scene d’interni a cui la collezione restituisce un’anima, complice la sapiente posologia di geometrie, atmosfere, preziosità decorative. Un equilibrio sospeso tra luce e penombra, tra severità ed eleganza, che rilegge in modo fedele gli slanci creativi del pittore e li reinterpreta secondo i canoni contemporanei.
Esili creature virginali scivolano leggere – quasi eteree – lungo la passerella, con i volti incorniciati da morbide trecce: calate in una dimensione atemporale, sembrano appena uscite dalla tela o pronte ad entrarci, immaginifica commistione di una seduzione metropolitana e di una ricercatezza d’epoca. A completare una simile magia, tagli eccellenti, linee essenziali, ma sinouse, e una femminilità d’antan, tripudio di grazia regale.
Lo stile Valentino sfila inconfondibile, fiero della perfezione delle sue architetture sartoriali e, al tempo stesso, dell’equilibrio dei dettagli e della classicità dei filati pregiatissimi. I tessuti evocano le stanze incantate di Vermeer, complici i bouquet floreali disegnati nelle tonalità dei blu oltremare e dei porpora sfarzosi.Un’estasi enfatica, resa tale anche dalle stole d’ermellino, dalle cappe e dai mantelli. I bustier, invece, sono cesellati come gli intarsi delle vecchie argenterie o come i damaschi borghesi; gli abiti-vestaglia coprono la silhouette per intero: quelli neri e austeri, riportano alla mente atmosfere di conventi o collegi, anche e soprattutto per l’utilizzo bon ton di colletti inamidati e di polsini severi, mentre quelli blu, bianchi, rossi e celesti, impalpabili e vaporosi come nuvole, si contraddistinguono per la minuzia dei ricami e l’essenzialità dei modelli.
Tutto appare retrò e contemporaneo al tempo stesso. Unico grande assente della collezione, nonostante protagonista indiscusso della tavolozza cromatica di Vermeer, il giallo. Non un errore e nemmeno una svista, bensì una libera interpretazione che ha voluto prediligere l’anima autentica del pittore, dando ampio spazio al decoro e al cesello anziché alle giustapposizioni cromatiche. Le oscurità e i mezzi toni prendono così il sopravvento sulle concentrazioni radiose, così come la sapienza costruttiva su quella luministica, in un gioco romanzato di suggestioni, che dosano arte e moda nella migliore resa possibile.
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