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Channel: La Vie C'est Chic
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ABOUT_Il rossetto e la sua storia

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Senza rossetto con te non ci parlo” affermava Isabella Blow, quasi a riconoscerne la sovranità nel regno del make-up femminile, eleggendolo il cosmetico par excellence. Un mix di pigmenti, oli, cera ed emollienti che rende glamour in semplici mosse, già solo nell’istante in cui lo si estrae poco per volta dall’astuccio e lo si applica sulle labbra.
5000 anni e non dimostrarli: questa la sua età. Una storia nata in Mesopotamia e proseguita tra le più nobili civiltà, passando per la Valle dell’Indo, l’antica Grecia, l’Egitto con Cleopatra e la sua formula a base di pigmenti di coleotteri e formiche, per arrivare a Poppea e al suo belletto derivato dal fuco, un’alga color porpora potenzialmente velenosa, e da sedimenti di vino rosso. Offuscato per ovvi motivi durante le invasioni barbariche e nel Medioevo (pena l’accusa di devozione satanica), il rossetto torna in auge col Rinascimento nella Firenze di Cosimo I (1519-1574) con la teoria che la bocca debba essere piccola, con labbra medie di color vermiglio. Spopola nell’Inghilterra di Elisabetta I (1558-1603), la quale ne possiede una ricetta segreta: cocciniglia, gomma arabica, albume e latte di fico. Una popolarità che tramonta all’inizio del XVII secolo quando viene giudicato uno strumento di contraffazione estetica, utilizzato per trovare marito: il Parlamento inglese vara una legge con cui processare per stregoneria le donne che, complici i cosmetici, hanno sedotto un uomo al punto da indurlo al matrimonio. Ma il barocco, con i suoi fasti pomposi, lo riporta in prima linea: a corte va di gran moda il trucco pesante, esasperato dalle altissime parrucche (Mme de Pompadour docet). Stesso clima nell’Inghilterra del tempo dove, secondo Sir Henry Beaumont, “..le labbra non devono essere dello stesso spessore..con un rosso vivace a colorarle..come un bocciolo di rosa che sta iniziando a schiudersi”. Un bocciolo che appassisce con i proibizionismi ottocenteschi, diventando appannaggio di prostitute e attori eccezion fatta per i benestanti che si permettono trasferte parigine nella maison Guerlain a comprare pomate per labbra.
Il ‘900 è la svolta: si realizza il primo astuccio metallico (1915); Max Factor inventa il trucco cinematografico (1914), introduce il lip gloss (1928), il primo pennellino applicatore (1929), Tru-Cola - rossetto a lunga durata (1940) - e tre nuances con cui soddisfare bionde, brune e rosse; Revlon lancia la prima pubblicità (1952). Inizia il sodalizio col cinema: Marlene Dietrichin “Disonorata” (1931) affronta il plotone di esecuzione rinfrescandosi il colore delle labbra; Lana Turner ne “Il postino suona sempre due volte” (1946) è la dark lady che, progettando di uccidere il marito con la complicità di John Garfield, muore tragicamente stringendo a sé l’alleato di bellezza; Elizabeth Taylor, prostituta d’alto bordo in “Venere in Visone” (1966), scrive “No sale” sullo specchio col rossetto; Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany” (1961), prima di recarsi nel carcere di Sing Sing, lo estrae dalla cassetta della posta insieme a uno specchio per darsi una ritoccata lampo. Con buona pace della paternità maschile di Jack Lemon e Tony Curtis in “A qualcuno piace caldo” (1959) e del trionfo di Tim Curry in “The Rocky Horror Picture Show” (1975) alle prese con guêpière e gloss. Sexy quanto Kim Basinger in “9 settimane e 1/2” (1986); settecentesco per Glenn Close ne “Le relazioni pericolose” (1988); d’alto bordo per Julia Robertsin “Pretty Woman” (1990); goloso con Juliette Binoche in “Chocolat” (2000); splendente come Nicole Kidman in “Moulin Rogue!” (2001). Iconico da conquistare il mondo della musica, troneggiando in svariati titoli: Lipstick Killers/New York Dolls, Lipstick Lies/Pat Benatar, Lipstick Vogue/Elvis Costello, Lipstick Sunset/ John Hiatt, Traces of my Lipsitck/Xscape. Iconico da divenire tacco per le décolletés di Alberto Guardiani. Un magnete di significati dal grido evocativo, immortale nel tempo e impassibile alle mode. 

ABOUT_Il twin set: gemellaggio di stile ed eleganza

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Chi non ricorda Grace Kelly nelle due celebri pellicole di Alfred Hitchcock “La finestra sul cortile” (1954) e “Caccia al ladro” (1955)? In entrambe il regista inglese teorizza il suo modello di bellezza femminile: bionda, glaciale in superficie ma vulcanica nell’istinto, sofisticata nell’aspetto ma brillante nell’ironia. Qualità personificate dall’attrice in un mix di classe naturale e allure aristocratico. Assi nella manica accessori costosi (la Kelly bag di Hermès in primis), bijoux sobri e preziosi twin set.
Principe di uno stile elegante e lussuoso, dalla semplicità regale, il twin set è un accordo di due capi in maglia, dello stesso colore e filato, il primo una maglietta solitamente con le maniche corte, il secondo un golfino da chiudere con asole e bottoni. Progenie diretta degli scaldaspalle tricottati dalle donne contro il freddo delle notti invernali, assume l’aspetto attuale nel 1918. Sono gli anni ’30, però, a dargli una paternità griffata grazie all’ingegno di Otto Weisz, stilista di Pringle of Scotland. Negli anni ’50 il suo charme diviene di moda - complice l’adorazione di grandi dive come Grace Kelly, Lauren Bacall, Deborah Kerr e Margot Fontayn. Le signore per darsi un tono lo abbinano al filo di perle, mood ripreso dopo oltre mezzo secolo da Bree Van De Kamp/Marcia Cross in Desperate Housewives.
Le ragazze lo reputano fondamentale per il guardaroba del college, come illustrato da Pringle of Scotland in una pubblicità apparsa su Vogue nel numero di settembre del 1951 in cui madre e figlia sono complici nella vita e nel look. Nei 60s è l’apoteosi: ogni donna deve possederlo in cashmere in un degradé infinito di colori. Un must quelli indossati da Marella Agnelli e Tippi Hedren.
Nei 70s, quasi risentendo dell’atmosfera new hippy e della contestazione femminile, il cardigan si arricchisce di ricami e disegni jacquard, a scapito della semplicità pulita che tanto lo caratterizza. Proprio in questi anni Pringle of Scotland trova un diretto concorrente in Ballantyne - anch’esso scozzese - il cui twin set, indossato da Jackie Kennedy durante una passeggiata a cavallo, diviene un must have.
In rotta di collisione con l’ostentazione e l’opulenza degli anni ’80, l’immagine del twin set si appanna inevitabilmente e a tal punto da essere codificato come il capo di zie e zitelle. Ma una seconda giovinezza è all’orizzonte e nell’ultimo ventennio riacquista il suo antico splendore, complice una liaison amoureuse con il cinema: magnifico con Scarlett Johansson in “Black Dalia” (2006), dalle dolci sfumature per Reese Witherspoon in “Pleasantville” (1998), bon-ton quello di Mag Ryanin “C’è post@ per te” (1998), comodo e nelle tinte pastello per la poetessa statunitense Sylvia Plath/Gwyneth Paltrow in “Sylvia” (2003). Passando per l’austerità di quello indossato da Helen Mirren in “The Queen – La Regina” (2006) e il tripudio ostentato di “capi gemellati” nel prestigioso college di Wellesley del film “Mona Lisa Smile” (2003) dove la professoressa d’arte Katherine Ann Watson/Julia Robertsesorta le sue allieve a riscattare il ruolo di moglie imposto dalla società dell’epoca.
Con il twin set la maglieria si tinge di note eleganti, divenendo un capo complementare nel guardaroba di signore très chic. E se è vero, come afferma Suzy Menkes, che esso è il segnale che le donne di potere non devono più provare la loro forza vestendo abiti dalle spalle imbottite come quelle degli uomini, si faccia largo ai twin set, per gemellare eleganza e status, stile e concretezza, nell’affermazione quotidiana di un lusso semplice ma élitario. 

LEISURE_L'universo temporary di Louis Vuitton

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L’eccellenza Louis Vuitton ha da oggi un nuovo punto di riferimento. Per celebrare lo stile e la moda uomo in una delle città simbolo dell’eleganze maschile, la Maison ha aperto a Firenze il primo temporary store. In un’originale atmosfera rétro, una selezione di ready-to-wear, pelletteria e borse da viaggio, scarpe, accessori (cinture, tessili e occhiali da sole), orologi e libri delle edizioni Louis Vuitton, è presentata in un ambiente pensato, disegnato e dedicato all’eleganza e ai bisogni del gentleman contemporaneo.
Collegato all’esistente boutique fiorentina femminile, ma con un’entrata separata, il nuovo spazio esplora un nuovo concept architettonico nell’universo dei negozi della Maison: fedele al desiderio di Louis Vuitton di rendere unico ogni contesto, per il nuovo temporary store è stata creata un’identità precisa, complice l’utilizzo di arredi vintage originali degli anni ’50 e ’60, tutti disponibili, tra l’altro, per la vendita.
Le vetrine dello store sono decorate con le leggendarie librerie di “LB7” di Franco Albini del 1957, che risultano essere la scenografia ideale per esporre le borse e gli accessori della Maison. Gli iconici motivi Monogram e Damier nonché i nuovi prodotti in pelle Epi o in Damier Infini dai vibranti colori arancio e giallo fluo sono affiancati da capolavori del design come la dormosa “Cleopatra” di Dick Cordemeijer per Auping (1953) o la scrivania da ufficio della collezione Tecno di Osvaldo Borsani.
Quattro sketches dell’ultima collezione di sfilata maschile, appositamente disegnati per il temporary store da Kim Jones, Direttore Stile e Studio Uomo Louis Vuitton, sotto la Direzione Artistica di Marc Jacobs, sottolineano la presenza della collezione di ready-to-wear della Maison, eleggendo Firenze a quarto negozio in Italia - dopo le Maison di Roma Etoile e Venezia e lo store di Milano Montenapoleone - in grado di offrire tutta la gamma di prodotti maschili del marchio.
Per celebrare l’apertura del temporary store, due dei più esclusivi “Sport Objects” Louis Vuitton sono esposti all’interno: la “Bike Polo”, la bicicletta per polo urbano realizzata in acciaio, alluminio, l’iconica pelle Louis Vuitton e la tela in Damier Graphite, e la “Soap Box Racer”, le cui forme sono ispirate al fiore del Monogram Louis Vuitton, ricoperta dalla tela in Damier Graphite e realizzata come special order negli atelier Louis Vuitton di Asnières.
Il temporary store maschile Louis Vuitton di Firenze rappresenta una nuova tappa nello sviluppo retail del brand in Italia, un luogo centrale per il marchio che ha appena aperto la sua seconda Maison a Venezia (con all’interno il primo spazio culturale Louis Vuitton in Italia), il primo resort pop-up store a Forte dei Marmi e ha rinnovato ed ingrandito il negozio di Capri.

Louis Vuitton temporary store uomo
Firenze, Via degli Strozzi, 21/R

Orari di apertura: 
Lunedì – Sabato 10.00 – 19.30 / 
Domenica 11.00 – 19.30


LOUIS VUITTON
Fondata nel 1854 a Parigi, Louis Vuitton è da sempre sinomimo dell’Arte del Viaggio. Gli iconici bauli, bagagli e borse hanno accompagnato numerosi viaggiatori nel corso degli anni. Con l’arrivo di Marc Jacobs, come Direttore Artistico nel 1997, Louis Vuitton ha esteso il proprio savoir-faire all’abbigliamento, alle scarpe, agli accessori, agli orologi ed ai gioielli, disponibili esclusivamente nei negozi della Maison presenti in più di sessanta paesi nel mondo. In Italia Louis Vuitton ha 18 negozi oltre al servizio di e-commerce.

ABOUT_Borsa mon amour:

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La borsa: dettaglio del codice vestimentario femminile e, al tempo stesso, pietra miliare nella definizione dello stile. Protagonista dello stilismo, mutevole come la moda stessa, si fa ascendere alla nascita del denaro e alle monete l’origine di quella che i Greci chiamavano byrsa, ossia cuoio.
La borsa, come ogni oggetto legato alla moda dell’abito, riflette nei secoli l’evoluzione del costume e, conseguentemente, della vita quotidiana: dalla aumonière venuta dalla Francia dopo le Crociate, in panno ma anche in seta e velluto, ricamata a mano dalle dame, alle scarselle, ai marsupi maschili, tempestati d’oro e gemme, fino alle borse rinascimentali, caratterizzate per il tessuto raffinato. In ogni caso, qualunque sia l’appartenenza, la foggia e il materiale, si tratta di borsa.
Nel ‘600, complici gli abiti ampi, dotati di maniche vaste e aperte, le sue apparizioni pubbliche vanno via via diradandosi, per poi ricomparire nel ‘700 nella versione piatta, appesa alla cintura, aperta in altezza e direttamente accessibile dall’abito.
Sotto l’epoca del Direttorio francese, la borsa ricompare in tutto il suo splendore come accessorio indispensabile per la donna alla moda: linea affusolata, appesa al braccio con nastri di seta.
Nel 1800, in un susseguirsi di apparizioni, sparizioni, recuperi preziosi, comincia a differenziarsi secondo l’uso: per abiti da pomeriggio, viaggio, spese.
La sua consacrazione, tuttavia, è cosa relativamente recente: siamo negli anni ’20 del ‘900. Nascono forme destinate a durare nel tempo, quasi sempre rettangolari, in vari pellami (marocchino, capretto, ecc.), piccole, sobrie, curate negli interni.  Se per la sera è d’obbligo la trousse in tartaruga, in argento (vero necessaire per il ritocco), per il giorno la borsa riceve l’investitura di accessorio di punta.
Passeranno alla storia: la borsa Chanel (busta minuta in nappa, satin, con il manico in catenella dorata, interamente percorsa dalle caratteristiche impunture a losanga); la serie per il giorno, la sera e il viaggio di Hermès, con tanto di dettagli ispirati alla selleria; le borse di Gucci e Gherardini.
Negli anni ’30 nascono alcune delle borse icona, che hanno fatto la storia del genere, traghettando fino ai giorni nostri ideali di stile ed eleganza unici e incomparabili: nel 1935 Hermès crea quella che a distanza di vent’anni piacerà talmente tanto a Grace Kelly da battezzarla col proprio nome; nel 1936 Elsa Schiaparelli lancia il secchiello cilindrico in pelle, provvisto di una lunga cinghia da portare a spalla, lasciando così le mani libere; nel 1937 Gucci propone il secchiello in cinghiale con banda in tela verde e rosso, che diventerà un classico.
In quel decennio la borsa è un continuo divenire di visioni, ispirazioni e rese formali: eccola a palla, a conchiglia, a orologio; ecco i colori marrone bruciato, avana, rosso cuoio di Russia nelle diverse gradazioni che tingono anche pellami pregiati come il coccodrillo, sogno di ogni donna prima del secondo conflitto mondiale, durante il quale, in mancanza di pelli, si usarono le borse in felpa, tessuto o velluto come quelle che Giuliana di Camerino, rifugiatasi in Svizzera, inventò, conquistando, a guerra conclusa, un enorme successo.
Accessorio importante, sia portata in parure con scarpe e guanti che non, la borsa degli anni ’50 è libera e formale.
Saranno però gli anni ’60 i più effervescenti per i molti temi, la raffinatezza dei dettagli in modelli che convivono con la moda e l’accendono: dalla pochette in nappa al bauletto in vernice, dalla sacca alla tracolla. Et voilà anche le borse hippie, sformate bisacce sfrangiate, orientaleggianti, decorate. Negli anni ’70 è la volta delle morbide, leggere e pregiate borse di Borbonese, in pelle trattata in modo da apparire cosparsa di piccoli occhi di pernice e di quelle di Louis Vuitton segno d’élite.
Con l’affermarsi del prêt-à-porter italiano, dagli anni ’70 in poi, la borsa si caratterizza da un lato per le novità nella concia dei pellami tradizionali, per la fantasia nella loro trasformazione, per l’affermazione di lavorazioni sostitutive del coccodrillo e della lucertola, per la vastità e la bellezza della gamma cromatica e i materiali spesso sorprendenti come il nylon indistruttibile, sigillo delle borse Prada che dagli anni ’80 vedono un successo planetario, dall’altro per il coinvolgimento sempre maggiore degli stilisti, simbolo dell’importanza dell’accessorio borsa nella definizione finale di uno stile. 

STYLE_La regina bizantina di Dolce & Gabbana

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Quando si dice “sognare in grande”…. È un po’ quello che ha fatto la coppia di stilisti Dolce & Gabbana per la prossima stagione fredda, pensando a una donna protagonista indiscussa della passerella e mettendo al bando ogni formalismo così come ogni eccesso prudenziale di rigore, severità e minimalismo.
Una donna regina, enfatizzata e valorizzata nella sua femminilità, ribattezzata dagli stessi stilisti come l’aspetto più bello dell’essere donna.
Una donna che incede sicura di sé, ondeggiando maestosa in sontuosi abiti ispirati ai decori dei mosaici del duomo di Monreale, con tanto di corona dorata e pietre incastonate in testa. Un accessorio, quest’ultimo, che simboleggia l’incoronamento della femminilità a leitmotiv dell’intera collezione dedicata a quella donna-femmina che, da sempre, è l’ispirazione del duo siciliano.
I riferimenti bizantini si moltiplicano su tuniche, abiti, camicie, borse e scarpe: è un rimando continuo alla ricchezza del patrimonio artistico e culturale di un’epoca e di un territorio, che prende vita in una chiave contemporanea e à-porter. La resa formale è stupefacente: la ricchezza dei materiali, dei ricami, degli orditi, dei tessuti s’intreccia con la raffinatezza della creatività, portando alla mise en place di creazioni uniche e inimitabili, dalla pregiata composizione e dalla semplicità evocativa. Ancora una volta, quella di Dolce & Gabbana è una moda che affonda profonde radici nella storia di un luogo, mostrando un senso d’appartenenza totale a un territorio come quello siciliano al punto da evocare - tramite continui sussurri – arte, storia e cultura. E così, tutto a un tratto, ci ritroviamo inaspettatamente spettatori di un’epoca che fu, con tutti i suoi fasti e le sue ricchezze, assaporandone il tripudio e, al tempo stesso, l’autentica compostezza.
Proprio grazie a questa corrispondenza tra passato e presente, tra vissuto e contemporaneo, la moda conquista la platea, proponendosi come qualcosa di viscerale, che va ben oltre la mera apparenza e lo stilismo formale fine a se stesso e assume valenze cerebrali, che mirano dritte al cuore dello spettatore, catturandolo nella sua emotività e trascinandolo in un fascinoso viaggio esplorativo. Un’avventura che passo dopo passo si fa sempre più convincente, delineandosi per tratti inconfondibili: restano indelebili, infatti, gli abiti ricamati a tessere di paillettes, cristalli e pietre dure; colpiscono le scarpe con il plateau a gabbia che imprigiona fiori colorati; seducono le borse “Agata”, dedicate alla patrona di Catania, tutte decorate a mosaico. E proprio a Sant'Agata è ispirato anche il bustino in filigrana d'oro portato con la mini a mosaico, motivo che ritorna sotto forma di stampa negli abiti tunica, nei tubini in broccato, nelle maxi T-shirt tintinnanti di tesserine dorate, nelle bluse abbinate alle gonne svasate, negli shorts a palloncino e nelle giacchine con spalla insellata che segnano il punto vita.
Gli accessori fanno il resto: corone dorate e orecchini a croce mescolano sacro e profano, mentre medaglioni con angeli e immagini prese dagli ex voto occhieggiano dagli abiti più preziosi, in un tripudio di pietre e ori.
L’ispirazione bizantina lascia poi spazio alla sartorialità tanto cara alla coppia di stilisti con il nuovo tailleur tre pezzi - composto da gonna corta, giacca breve e T-shirt - tutti nello stesso tessuto, spinato o tweed, il cappotto o l'abito sempre in pendant, per una nuova idea di eleganza da giorno.
Immancabili, infine, gli abiti in pizzo, un must have del marchio, arricchiti per l’occasione da ricami e pietre.
Un mix di storia e classicità, rivisitato in chiave contemporanea per offrire alla donna un ideale di eleganza e stile che si spinge oltre ogni canone standardizzato, evocando dimensioni inesplorate e fascinose. 

ABOUT_Calzature in mostra...

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E la calzatura diventa oggetto d’arte al punto tale da avere musei dedicati, veri e propri templi votivi dello stile che, tra un’esposizione e l’altra, ripercorrono la storia della calzatura, evocando suggestioni, illustrando epoche storiche e stimolando ispirazioni.
Oggetto di culto per incallite fashioniste, devote alla sua divinazione quale dettaglio irreprensibile del codice vestimentario, la scarpa vanta di diritto anche un’anima nobile, altra metà della verve più glamour e, al tempo stesso, spirito sacro e inviolabile che le ha consentito di attraversare la storia dei tempi, divenendo a ragion vedut,a un vero e proprio cimelio da museo.
Un viaggio nel tempo che, sulle note colorate dello stile, consente di recuperare il significato della storia, avvalorando il legame indissolubile tra questi due aspetti. Iniziamo, quindi, il tour per l’Italia, facendo tappa nei più importanti musei della calzatura, mecche della moda intesa da un punto di vista sociale.

Museo Rossimoda
In una dimora seicentesca lungo le rive del Brenta, Villa Foscarini, si trova il Museo Rossimoda, nato nel 1995 su iniziativa di Luigino Rossi, fondatore dell’omonimo calzaturificio oggi passato di proprietà al gruppo del lusso d’oltralpe LVMH.
Catapultati in una dimensione da sogno, si comincia con una piccola ma preziosissima raccolta di calzature storiche veneziane del ‘700 e ‘800 di proprietà del fondatore, per poi proseguire con i 1700 modelli femminili di lusso prodotti dall’azienda dal 1946 ai tempi nostri e selezionati personalmente dal fondatore stesso insieme ai suoi collaboratori: questi rappresentano il corpus del museo, che, ogni anno, si amplia con l’aggiunta degli esemplari più significativi delle nuove collezioni.
Si tratta di un museo nato con l’intento di raccontare la storia di una famiglia ormai giunta alla terza generazione e costellata da numerose collaborazioni con le più prestigiose case di moda. Correva l’anno 1961 e Luigino Rossi decise di produrre solo calzature da donna di lusso su licenza di grandi firme: Christian Dior, Yves Saint Laurent, Givenchy, Anne Klein, Emanuel Ungaro sono state le prime maisons alle quali, nel tempo, si sono aggiunte Richard Tyler, Vera Wang, Genny, Fendi, Calvin Klein, Michael Kors, per poi finire con Emilio Pucci, Christian Lacroix, Marc Jacobs, Loewe, Kenzo, Donna Karan e Celine. I piedi del gotha della moda, quindi, sono passati per le mani di Luigino Rossi.
Il museo, oltre ad offrire uno spaccato sulla storia del costume della seconda metà del secolo scorso, si pone come viva testimonianza del saper fare artigiano del distretto calzaturiero del Brenta, caratterizzato dagli elevati standard qualitativi. Le principali finalità, pertanto, sono quelle di comporre una memoria storica della produzione tipica di questa particolare zona italiana, territorio privilegiato di una vocazione artistica apprezzata in tutto il mondo.
Il museo, inoltre, si pone quale stimolo per le produzioni future, divenendo un punto di riferimento per la scuola di modellisti famosa a livello internazionale ospitata dal distretto e che dal 1923 si occupa di formare i nuovi designer della calzatura. Uno spazio, quindi, che diviene anche una fucina creativa, fornendo stimoli e ispirazioni per le scarpe di domani. Scarpe che in qualche loro dettaglio porteranno il vissuto di un’epoca.

Museo Internazionale della Calzatura “Pietro Bertolini” di Vigevano
Da oltre un secolo Vigevano è legata al mondo della scarpa, tanto da essere menzionata come la capitale italiana – e, in alcuni casi, anche mondiale – della calzatura. Un luogo dove hanno visto la luce importanti innovazioni del settore e in cui ha preso vita l’estro visionario del cavalier Pietro Bertolini, illuminato imprenditore calzaturiero e fondatore della Ursus Gomma.
Istituito nel 1958 per documentare l’ingegno e l’operosità vigevanesi, la sua apertura è fatto relativamente recente, risalente al 2003.
L’esposizione propone la lettura della scarpa nella sua duplice natura: oggetto d’uso e opera d’arte. Due anime che si compensano, trovando convivenza in amabili e mirabili creazioni, frutto dell’estro umano. Dal 2003, inoltre, il museo si è arricchito di una sezione interamente dedicata ai marchi, agli stilisti e ai designer italiani e internazionali degli ultimi trent’anni.
Tra i fiori all’occhiello della ricca collezione, degni di nota sono importanti modelli storici, come, per esempio, la pianella del 1495 attribuita a Beatrice d’Este o la scarpa gioiello di fine 1920, oltre a calzature appartenute a personaggi storici e papi. Non mancano, poi, esemplari di calzature autarchiche, modelli realizzati con moderne suole in plastica trasparente “rodhovetro” e cuissard di Paco Rabanne.
Passando tra le visionarie creazioni di Manolo Blahnik, Jimmy Choo, Christian Louboutin, Giorgio Armani e Gucci, si arriva alla sala dedicata al tacco a spillo dove è esposto il primo prototipo che, inventato proprio a Vigevano, ha reso celebre la città.
Il museo annovera circa 2500 calzature, che vengono esposte in gruppi da 300 alla volta, con un turnover semestrale. A latere, le mostre itineranti per il mondo, che rappresentano vetrine internazionali per la collezione.

Museo Salvatore Ferragamo
Inaugurato nel 1995 per volontà di Wanda Ferragamo e dei suoi figli nella sede storica della Maison, Palazzo Spini Feroni a Firenze, il Museo Salvatore Ferragamo è nato con l’intento di rendere nota al pubblico la storia del fondatore e delle sue creazioni – le calzature – considerate dagli studiosi di tutto il mondo delle vere e proprie opere d’arte.
La collezione è stata costituita da Salvatore Ferragamo, che ha custodito i prototipi e cercato di recuperare i suoi modelli più celebri. Una raccolta preziosa, che è stata mantenuta e arricchita dalla famiglia con gli stessi criteri: conservare i modelli più innovativi di ogni collezione, quelli più particolari per uso di materiali e per struttura, non necessariamente quelli più venduti.
Il museo, pertanto, racconta in primis la storia di un uomo, del suo lavoro e del suo amore smisurato e incondizionato per le scarpe: una vocazione che gli ha valso, a ragion veduta, l’appellativo di “calzolaio dei sogni”.
Nello spazio confluiscono contaminazioni culturali che spaziano nei diversi ambiti dell’arte, del design, dello spettacolo, del costume, della comunicazione e dell’informazione. Un luogo poliedrico, che fa della vivacità intellettuale il fil rouge attorno al quale sviluppare giorno dopo giorno un’attività volta alla valorizzazione della creatività.
Un’impronta che ha portato il museo a divenire, nel tempo, non solo un punto di riferimento per l’estro italiano, ma soprattutto un punto di forza dell’immagine del marchio, depositario dell’heritage e motore d’ispirazione per il futuro.
All’interno della ricca collezione, che si amplia progressivamente con le calzature emblema di ogni stagione ma anche con donazioni di clienti Ferragamo e acquisizioni di modelli storici provenienti dal mondo dell’antiquariato, è difficile identificare i “pezzi gioiello” data la vastità e il pregio delle creazioni esposte. Vi sono modelli famosissimi come simboli di design di un’epoca: è il caso del sandalo invisibile, creato nel 1947 con la lenza di nylon da pescatori oppure delle zeppe in sughero del periodo bellico. Alcuni esempi sono importanti per la particolarità della loro realizzazione, come il sandalo in oro a diciotto carati, creato da Ferragamo per una cliente australiana nel 1956 e altri ancora perché appartenuti a personaggi famosi come Marilyn Monroe, fedelissima estimatrice della maison.

PEOPLE_Casadei: l'arte di far scarpe

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Rendere la moda ogni volta speciale, non scontata, innovativa nelle sue forme ma autentica nei contenuti. Un compito arduo e per nulla immediato, che solo la maestria, l’heritage e il culto del bello possono aiutare a realizzare. Una moda tutta da percorrere, ispirata da tomaie, punte, plateaux, tacchi: gli elementi che definiscono l’identità di una scarpa. Di una scarpa Casadei.
Un marchio che da 50 anni si propone sulla scena dello stile con idee forti e creazioni inconfondibili, che si fondano sull’eccellenza qualitativa e sull’abilità manuale, fattori che tanto sanno di made in Italy.Modelli attuali nonostante gli anni che passano, entusiasmanti e grintosi, femminili e sensuali, ma, al tempo stesso, eleganti e di gran classe. Originali, coraggiosi e sperimentali, quintessenza di tradizione e innovazione, artigianalità e ricerca. Le scarpe Casadei sono creazioni dall’elevato contenuto progettuale e dalla spiccata vocazione creativa, in un perfetto bilanciamento di razionalità e irrazionalità. Non si tratta di modelli gridati e ostentati, nonostante la loro unicità stilistica, bensì di irrinunciabili oggetti del desiderio, pezzi da collezionare e indossare. Le forme studiate nel dettaglio trovano un valido alleato nella qualità dei materiali utilizzati e nell’innovazione delle tecniche di lavorazione: non è un caso, quindi, se spesso le textures naturali di pelle o camoscio, coccodrillo o pitone, sono ludicamente combinate a gomma, plastica, plexiglas o nylon. Oggetti unici nel loro genere, riconoscibili e indimenticabili anche per l’originalità estrema dei colori, dei patterns, delle liaisons cromatiche e di materiali; oggetti griffati che si spingono oltre il valore effimero della marca, caricandosi di tutte le implicazioni simboliche, che evocano suggestioni ed emozioni, nonché delle componenti più tangibili come la qualità artigianale di applicazioni e ricami. Un’estenuante ricerca stilistica che sottende insolite alchimie, armonie e connubi di ispirazioni, idee e soluzioni.
Nel tempo, le scarpe Casadei hanno tratto suggerimenti dalla quotidianità delle situazioni, proponendosi come inseparabili compagne di viaggio di contesti che contemplano diversi tipi di eleganza e femminilità, di seduzione e di glamour. Esplorarne l’universo è come compiere un volo pindarico nella storia della calzatura: si passa dai leggerissimi sandali di vitello verde oliva con un tacco sottile a rocchetto di fine anni ‘50 alle francesine o ai mocassini con alte platform ricoperte in tessuto ricamato dei primi ’70; dalle décolletées in pelle argentata con fibbia rotonda di metallo martellato e tacco basso a campa del1968 agli stivali "scomponibili" alti sopra il ginocchio del 1976; e ancora, dai sandali di tulle a pois irregolari di velour policromo con bordure e alto tacco a cono di pelle dorata del 1981 alle décolletées in pitone laminato e lavorato a canestro del 2007; dalle slanciate policrome décolletées con tomaia e tacco completamente ricamati di paillette della collezione Primavera-Estate 1992 agli stivali in camoscio con inserti di plastica trasparente e tacco di plexiglas dell’Autunno-Inverno 2006-2007. 
Tutto ha inizio con i sandali, prodotti inizialmente a tempi record per le signore in vacanza sulla Riviera Adriatica. A questi ben presto si sono aggiunte le platform: di derivazione Swinging London, in men che non si dica sono diventate di gran tendenza, complice la moda unisex dei pantaloni a zampa d'elefante, ispirando una vasta serie di modelli nelle collezioni a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70. Si sono poi evolute nella versione plateau, assumendo prerogative estetiche e tecniche sempre più' straordinarie e divenendo un elemento ricorrente delle collezioni Casadei. Gli anni ’80, invece, vedono il debutto dello stivale ma soprattutto della décolleté. Caratterizzata per l’estrema leggerezza, nasce per adattarsi con grazia e sensibilità al piede femminile. Non si tratta, quindi, di una scarpa semplicemente sexy, bensì di un modello comodo e confortevole. Le sue rivisitazioni stilistiche sono innumerevoli, frutto di interpretazioni che non mancano mai di guardare alle evoluzioni sociali: i tacchi sono nelle forme più diverse, sempre e comunque alti e originali, ricoperti di strass, pregiati tessuti francesi d’abbigliamento, plastiche o ricami, che negli anni ’90 diventano di vero corallo.
L’esclusività del prodotto è il fil rouge che da sempre guida la produzione Casadei e porta alla creazione di veri e propri capolavori, impreziositi da particolari decorativi sontuosi, come nastri e fori in pelle o pelliccia colorata, pave' di Swarovski, broches gioiello, oblo', occhielli, lingue di metallo, o, altrimenti, improntati da affascinanti dettagli strutturali, come la schiena bombata o fusa al fondo della scarpa e trasformata in un plateau ammortizzante (modelli per la Primavera-Estate 2008).

Correva l’anno 1958: Casadei nasce in un piccolo laboratorio di San Mauro Pascoli, dove Quinto e Flora Casadei creano la prima collezione di sandali destinati ai turisti che frequentano la Riviera italiana. È il momento del boom economico e del miracolo del Made in Italy: in dieci anni, il laboratorio si trasforma in una piccola azienda altamente specializzata in calzature che esporta in Germania e negli Stati Uniti.
 Negli anni ’70 lo sviluppo continua, complici le prime campagne pubblicitarie, le esportazioni in Giappone e l'apertura della prima boutique monomarca a Bruxelles (1977). Gli anni ‘80, invece, vedono consolidarsi i mercati internazionali, Medio Oriente in primis.
Negli anni ’90 vi è il passaggio di testimone con le nuove generazioni e l’ingresso di Cesare Casadei, figlio di Quinto e Flora, come direttore creativo del marchio. Egli rappresenta il trait d’union tra gli inimitabili artigiani del made in Italy e i manager e i creativi che hanno il compito di portare questo patrimonio verso l’internazionalizzazione.
Gli anni Zero proseguono con la crescita del marchio e il consolidamento delle radici italiane: pellami, colori e modelli vengono realizzati in esclusiva con fornitori dedicati; il processo di produzione diventa un gioiello, un patrimonio impossibile da imitare; nel frattempo, si procede con il processo di modernizzazione della distribuzione e della comunicazione. I fatturati crescono e le aperture di boutique monomarca si succedono in serie.
 Le celebreties fotografate con creazioni Casadei ai piedi, consolidano il marchio nell'immaginario del fashion system, enfatizzandone i caratteri di prestigio e esclusività. Allo stesso tempo, i migliori talenti della fotografia (tra i quali Nick Knight, Mario Testino, Javier Vallhonrat e Raymond Meier) firmano le campagne pubblicitarie. Ellen von Unwerth, invece, immortala i 50 anni del marchio, nel 2008, con un libro e una mostra che ripercorrono tutti i momenti che hanno reso possibile questo miracolo di stile.

PEOPLE_Van Cleef & Arpels: una storia preziosa

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Collier di rubini e diamanti da legare a sciarpetta attorno al collo, maglie d’oro finemente lavorate con chiusura a zip, preziosissime libellule a simboleggiare la libertà, sequenze di quadrifogli realizzati nei materiali più pregiati a costituire inconfondibili parures. Queste e molte altre sono le creazioni della gioielleria parigina Van Cleef & Arpels, fondata nel 1906 da Alfred Van Cleef (1873-1938) e dai cugini Charles, Julien e Louis Arpels.
La sede principale era – ed è tuttora – in Place Vendôme, ma nel giro di pochi anni è stata affiancata dai negozi di Nizza, Deauville, Vichy, Cannes e, più tardi, New York e Montecarlo: città simbolo di un autentico bien vivre.
Negli anni ’20, la Maison si apprestò a interpretare lo stile orientale e neo egizio che tanto ammaliava i salotti bene dell’alta società francese. Fu di quest’epoca (1923), inoltre, il primo orologio su braccialetto di pelle, in oro bianco e o giallo.
Tuttavia, furono gli anni ’30 a delineare il carattere fondato sulla creazione di gioielli innovativi, realizzati con un tipo di montatura mai utilizzato prima d’allora: il serti invisibile. Questo escamotage tecnico, che consentiva di presentare le gemme senza lasciar intravedere il metallo sottostante, diede inizio a una produzione giocata soprattutto sui modelli d’ispirazione floreale – rose, camelie, crisantemi, foglie d’edera – e animalier. Risale alla stessa epoca l’invenzione del bracciale Ludo Hexagone, costruito su maglie geometriche a forma di casella d’alveare. Apprezzatissime anche le clips, tra cui le celeberrime Passe-partout(1938), da indossare separatamente sul rever della giacca o, insieme, montate su collier chaïne-serpent.
L’aspetto patinato e le frequentazioni glamour della Maison furono merito di Louis Arpels, introdotto negli ambienti altolocati e nel jet set dell’epoca. Il marchio condivise la scena con principi e sovrani, come il principe Don Antonio d’Orléans e il Gran Duca Dimitri negli anni ‘20, la principessa di Faucigny Lucinge, il barone Thyssen, la duchessa di Windsor e il duca di Westminster negli anni ‘30, le regina Nazli e il re Farouk d’Egitto, il barone James di Rothschild, le contesse di Rohan Chabot e d’Harcourt negli anni ‘40, la principessa di Réthy, il re Baudoin del Belgio, la principessa von Turn und Taxis, la marchesa di Cuevas, la regina Sikirit di Thailandia negli anni ’50 e, nei decenni successivi, il barone Guy di Rothschild, la principessa del Galles, il principe Rainieri e la principessa Grace di Monaco, la famiglia dell’Aga Khan. Numerose, inoltre, le apparizioni “da grande schermo”, al collo di attrici icone del calibro di Madeleine Carroll, Michèle Morgan, Marlène Dietrich, Ava Gardner, Audrey Hepburn, Sophia Loren, Liz Taylor, Claudia Cardinale, Romy Schneider, Brigitte Bardot, Catherine Deneuve, Charlotte Rampling, Chiara Mastroianni, Sharon Stone, Kristin Scott Thomas, Julia Roberts, Uma Thurman, Zhang Ziyi, Carole Bouquet, Diane Kruger, Scarlett Johansson, Sofia Coppola, Evangeline Lilly. Si aggiunsero, poi, numerosi cantanti quali Zizi Jeanmaire, Maria Callas, Lili Pons e, più recentemente, Annie Lennox, Mariah Carey, Madonna, Sheryl Crow, ma anche donne eccezionaliquali Florence Jay Gould, Barbara Hutton o Jacqueline Kennedy.
Van Cleef & Arpels ha sempre coniugato il culto estetico con la ricerca di soluzioni innovative, che lasciassero il segno nella storia del gioiello, facendo del marchio stesso una garanzia in termini di eccellenza produttiva e creativa. Sensibile nel captare le suggestioni offerte dalle tendenze del gusto e dai fatti dell’attualità, la Maison lanciò gioielli unici nel loro genere, ancora oggi inconfondibili, come la collana zip (o “fermeture éclaire”), ispirata alla cerniera lampo, e il collier “coriphée”, composto da una serrata fila di ballerine in oro con tutù di brillanti.
Negli anni ’50 fu la volta della lavorazione a merletto del filo metallico intrecciato, ritorto, godronato. Nacquero così le clips a cristaux de neige.
La Maison lasciò la sua cifra stilistica anche con riferimento agli accessori preziosi: le sue minaudières degli anni ’20, borsette da sera in veste di astuccio in oro e gemme (nobili antesignane delle contemporanee clutches), sono ancora oggi famose oltre che essere dei veri e propri cimeli.
Negli anni, fedele allo spirito fondatore, ha cercato per i suoi gioielli e le sue mirabili creazioni pietre preziose dall’eccellente qualità in termini di lucentezza e purezza, sublimandole con un’incastonatura unica e artistica. Van Cleef & Arpels si è spesso aggiudicata pietre eccezionali, come il diadema di Maria di Serbia o la Walska Briolette (un diamante giallo di 95 carati), la Thibauw (un rubino birmano di 26,13 carati) o un insieme di tre smeraldi barocchi (rispettivamente di 127,45, 53,22, e 48, 48 carati). Grazie all’infinito senso estetico e alla minuziosa lavorazione, ha saputo valorizzare pietre meno rare ma altrettanto stupende come le acque marine, i granati mandarini e la rubellite. Sue e soltanto sue, inoltre, le rivisitazioni inattese di materiali insoliti come la Madre Perla (collezione New Alhambra, 1968 e 2001) e la lacca (clip Papillon, 2004).  
Passata negli anni anche al settore orologiero e profumiero, la Maison attualmente è guidata dalla terza generazione Arpels che detiene il 20 per cento delle azioni, mentre nel 1999 il 60 per cento è stato acquistato da Cartier.  

STYLE_Suggestions from Paris...

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Calati i riflettori sull’alta moda parigina che ha presentato le collezioni Autunno/Inverno 2013-14. Ultime in ordine di apparizione, le sfilate di Rad Hourani e Zuhair Murad, insieme agli eventi preziosi targati Boucheron, Bulgari, Van Cleef & Arpels, Chaumet; in apertura, invece, Chanel e Louis Vuitton. Cinque giornate - dal 30 giugno al 4 luglio - crocevia di tendenze, stili e modi di interpretare l’eleganza da parte di maison francesi e stilisti made in Italy. Un’accoppiata vincente come dimostrato da tre sfilate del calibro di Chanel, Giorgio Armani Privé e Valentino.
Della maison guidata da Kaiser Karl, balza all’occhio una certa freschezza d’intenti, complice l’infinita varietà dei classici bouclé, presentati per l’occasione con una tramatura più larga e ispessita. Notevoli, inoltre, gli studi sulle proporzioni delle giacche, ora lunghe, ora corte e con i lembi ripiegati su loro stessi. La palette, scura e incentrata sulle nuances di grigio, fa risaltare la complessità delle lavorazioni sul tessuto e degli inserti metallici. Al ritmo delle note stilistiche che rispecchiano l’heritage della maison, la passerella è un divenire di outfit che scandiscono la giornata della donna firmata Chanel: si comincia con gli abiti da giorno, per passare a quelli da cocktail e terminare in crescendo, con le mise da sera.
Chez Armani, invece, tutto è morbido, scivolato e incipriato. Addirittura i ricami e le balze in pizzo evocano leggiadria e grazia di movimenti. Una collezione leggera e ovattata, quasi impalpabile al punto da aver sostituito, ove possibile, i bottoni con gancetti nascosti nelle pieghe del tessuto.
Dulcis in fundo, Valentino, l’imperatore della moda. Nonostante ci si trovi nella Ville Lumière, sembra di essere al museo dell’Ermitage, con gli stucchi dorati che diventano pizzi sugli abiti longuette, corredati da coprispalla in visone selvaggio. Non mancano gli affreschi, i trompe l’oeil, le grottesche e tutto ciò che evoca la magistrale tradizione pittorica, traslata sui vestiti.
Le proposte si moltiplicano all’infinito nelle collezioni messe in scena da maison e designers, spaziando nei meandri dell’eleganza e della moda. Fiori sparsi da Giambattista Valli, per una passerella ispirata alle manifatture di porcellane storiche: gli abiti dello stilista vanno dal mojito allo champagne; nulla è concesso al giorno. Vi sono poi le suggestioni circensi di Schiaparelli disegnata da Christian Lacroix, l’overbooking stilistico di Raf Simons per Dior, che manda in passerella accenni di grunge, richiami dark e un tocco jap tanto per gradire, il total black d’atmosfera di Viktor&Rolf e la diva di Jean Paul Gaultier

LEISURE_Bucolica - Il Vivere Country: special preview

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Si è svolta mercoledì 3 luglio nell’incantevole scenario della Roof Terrace del Westin Palace Hotel di Milano la press preview di Bucolica – Il Vivere Country, un evento innovativo nel panorama italiano, ma già pronto a divenire un punto di riferimento nel novero dei grandi appuntamenti specializzati europei, che si terrà dal 13 al 15 settembre a Villa Castelbarco a Vaprio d’Adda (Mi).
Ideatore e organizzatore dell’iniziativa, Luigi Michielon, raffinato regista di numerose manifestazioni dedicate all’alta gamma in Italia. Tra le tante, la Biennale di Antiquariato di Roma, le fiere del lusso “Scrigno” e quelle dedicate ai profumi come “Esxence”. Da una sua intuizione, filtrata dalla raffinata sensibilità dell'amica Beba Marsano, critica d’arte e scrittrice, nasce ora questa nuova esperienza.
Bucolica – Il Vivere Country vuole essere, e certo sarà, un accattivante, progetto espositivo di carattere culturale e di intrattenimento, per avvicinare il pubblico alla filosofia, allo stile e alle atmosfere della vita in campagna, in linea con una tendenza in crescita esponenziale: il ritorno alla natura, legato al tempo libero, ma non solo.
In scena lo spirito country in ogni sua declinazione: da quello un po’ classico ed informale di stile inglese a quello glamour e raffinato della Provenza, dai sapori forti della Camargue e della Spagna a quelli più familiari della Toscana, passando per i toni romantici della Bretagna e quelli un po’ selvaggi dell’Argentina. Ma country rimanda senza dubbio anche all’America, ad un certo tipo di abbigliamento e di vita all’aperto con i cavalli. Una mostra, quindi, ma anche una passeggiata nelle epoche e nelle nazioni che hanno reso celebre questo stile.
Considerando la complicità tra l’uomo, la natura e i suoi elementi, i visitatori saranno invitati ad avvicinarsi al mondo country per riscoprirne l’intrinseca eleganza e la sottile ricercatezza, attraverso un'articolata serie di appuntamenti di qualità. Fulcro dell'evento sarà una mostra-mercato caratterizzata da un'attenta selezione di espositori in cui si affiancano professioni del passato a nuove proposte creative per presentare quanto di meglio offre il mercato in materia di servizi e di prodotti, frutto di antiche sapienze artigiane. Dall’arredo antico e modernoall’oggettistica di vari stili e provenienze, dall’abbigliamento allo sport, dalla casa al giardino, dai prodotti tipici all’artigianato, per recuperare il rapporto con le nostre radici e il gusto del vivere secondo i ritmi della natura, respirando i profumi della terra, gustandone i sapori e godendone i quotidiani piaceri.
Bucolica, pertanto, è un’ampia e divertente vetrina su uno stile di vita che non si configura, però, soltanto come ricerca di ozi e di svaghi, bensì come rinnovata e profonda presa di coscienza del Vivere Country. Da qui il doppio nome della manifestazione, doppio nome che simbolicamente unisce il richiamo al classico, all’antichità, ai valori di ieri e di sempre e, nel contempo, alla consapevolezza dell’oggi, con le sue dinamiche, le sue esigenze e le novità in perenne effervescenza.
A latere della grande mostra-mercato, vi saranno diversi eventi collaterali che arricchiranno l’offerta di spunti. In primis, i due approfondimenti d’arte curati da Beba Marsano e realizzati in perfetta sintonia con le atmosfere della manifestazione. L’artista Brigitta Rossetti, nella mostra a lei dedicata, si presenterà con una raffinata antologia di opere realizzate per l'occasione. Nel suo spazio, trasfigurato come un giardino del desiderio, spiccheranno i Children's garden, lavori monumentali ad alto impatto estetico ed emotivo, i Fiori immaginari, dell'omonimo, fortunatissimo ciclo,e i Fiori dormienti. L’altro ospite d'onore di questa prima edizione di Bucolica, sarà il pittore bolognese Antonio Saliola con una mostra dossier di circa 14 dipinti, taluni di grandi dimensioni (Otium nel Quasi Orto e Il Quasi Orto a Petrella Guidi, come in un quadro di Saliola). Sono i capolavori più recenti, realizzati tra il 2010 e il 2013, che portano le visioni della memoria e i suoi giardini incantati al massimo grado di pienezza poetica.
Anche il Golf, espressione del country più glamour, avrà uno spazio dedicato: nei giardini della Villa verrà ricreato un campo prova al quale tutti potranno accedere e cimentarsi con questo straordinario sport. Ci saranno anche tante aree dedicate ai più piccini dove, assieme ai genitori potranno scoprire e ritrovare tanti giochi ormai dimenticati.
Altro importante appuntamento da segnarsi in agenza è il “Dogs Gala Dinner” di venerdì 13 settembre, evento charity a sostegno della Lega Nazionale per la Difesa del Cane, presente nel corso della tre giorni per raccogliere fondi: interverranno, per l’occasione, numerosi personaggi del mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dell’imprenditoria accompagnati dai loro amici a quattro zampe.
Sabato 14, invece, sarà la volta dell’incontro organizzato dal Cavalleresco Ordine dei Guardiani delle Nove Porte sui grandi tessuti cardati scozzesi, presentato dal gran maestro Giancarlo Maresca.
E poi un viavai continuo di personaggi del mondo della cultura, dell’arte e dell’imprenditoria che hanno scelto proprio la campagna come nuovo stile di vita: un’occasione imperdibile di incontro e dialogo nell’ambito della quale scoprire i segreti di uno stile di vita unico e inimitabile.
Location dell’evento, la splendida Villa Castelbarco di Vaprio d’Adda (Mi), che con spazi espositivi opportunamente allestiti in maniera country, sarà in grado di evocare atmosfere di grande fascino. La Villa, una delle maggiori in Lombardia, sorge lungo il naviglio della Martesana e il fiume Adda. Le origini dell’insediamento risalgono al dodicesimo secolo, allorché i Cistercensi edificarono sul luogo un convento. Ancora oggi, l’architettura consente di individuare quello che in passato doveva essere il chiostro, divenuto poi il cortile principale attorno a cui sono stati disposti i vari corpi di fabbrica. Gli interni, oggi, sono stati trasformati in spazi ideali per ospitare congressi, convegni, mostre o ricevimenti. Dal giardino all’italiana s’accede alla limonaia, una delle sale più grandi insieme con il galoppatoio, che sorge, invece, all’estremità opposta del complesso.

Bucolica – Il Vivere Country
dal 13 al 15 settembre 2013
Villa Castelbarco, via per Concesa 4, Vaprio d’Adda (Mi)
Uscita autostradale: Trezzo d’Adda, poi direzione Vaprio d’Adda per circa 4 km

Aperto da venerdì 13 a domenica 15 Settembre dalle 10.00 alle 19.00.
Inaugurazione su invito: 12 settembre dalle ore 18.00
Biglietti: 1 giorno: 7,00 euro (intero)/5,00 euro (ridotto); 2 giorni: 13,00 euro (intero)/9,00 euro (ridotto); 3 giorni: 18,00 euro (intero)/12,00 euro (ridotto)

Informazioni
D.O.G.E. s.r.l. tel +39 049 9301038 - info@dogesrl.com

Uffici Stampa
Studio ESSECI di Sergio Campagnolo Tel. 049-663499 info@studioesseci.net
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Coordinatore Media, Comunicazione e rapporti con le TV:
Michele Casadio, Tel. 0544-213599 Mob. 338-8399295
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Morino Studio – Laura Morino Teso
Ufficio Stampa & Social PR
Tel. 02 48110297 – Mail. bucolica-event@morinostudio.com

LEISURE_Jean Paul Gaultier guest star di AltaRomAltaModa

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Si è conclusa il 10 luglio la XXIII edizione di AltaRomAltaModa, quest’anno all’insegna dell’internazionalità e della sinergia Roma-Parigi. Perché quando la moda è sinonimo di artigianalità, qualità, eccellenza ed eleganza, diviene patrimonio dell’umanità e non vi sono stilemi territoriali a categorizzarla, bensì un linguaggio universale che va oltre le singole appartenenze, facendo eco alla voce dello stile tout court.
Ospite d’eccezione, l’ex enfant terrible Jean Paul Gaultier, che domenica 7 luglio ha sfilato a Santo Spirito in Sassia con “La Parisienne”, estratto di capi iconici delle passate collezioni.
Uno show inebriante ed emozionante, sulle orme della felliniana Dolce Vita, filone che ha ispirato lo stilista nella definizione della sua creatività. Una creatività fantasiosa, al limite tra sogno e realtà, ma, al tempo stesso, pensata per una donna femminile ed elegante, dallo charme e dallo stile unici. A testimoniarlo, le 50 iconiche creazioni annoverate per il defilé, summa della sua carriera fino all’ultima collezione che ha sfilato a Parigi la scorsa settimana.
Non avendo potuto creare capi appositamente dedicati a Roma, Gaultier ha voluto in ogni caso rendere omaggio alla Capitale e a Federico Fellini, citandoli stilisticamente all’infinito, vuoi con i dettagli couture vuoi per gli allestimenti (le musiche, per esempio, sono state tratte dal film “Casanova”) o, ancora, per i continui riferimenti alle più celebri pellicole.
In passerella, ballerine, cappelli conici da clown, pagliaccetti, righe da Gelsomina, guêpière con seni appuntiti (realizzata per Madonna), capi della haute couture animalier, da Catwoman e Lady Oscar, Modesty Blaise e Mata Hari, donne-giaguaro, grandi chignon, calze leopardate. Tutto ha però uno spirito circense, comprese le femmes fatalesche sfilano in maculato brillantato, in cappotti leopardati, tailleur anatomici, abiti-bustier, mantelli di piume.
Un elogio della creatività e dell’estro visionario che celebra, in parte, i 35 anni di carriera del talentuoso e brillante couturier. In giro per il mondo, infatti, una retrospettiva multimediale che, oltre a mostrare lo stile inconfondibile di Monsieur Gaultier, svela le infinite contaminazioni con l’arte in tutte le sue molteplici forme d’espressione, ripercorrendo un’epoca, dai 70s ai giorni nostri. 

ART & CULTURE_35 anni di Jean Paul Gaultier

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Tutto parla di Jean Paul Gaultier. E non è un caso, visto che protagonisti sono i suoi talentuosi ed esplosivi 35 anni di carriera nel campo della moda e dello stile universalmente riconosciuti da celebs ed estimatori.
Per celebrare e onorare un simile traguardo, una retrospettiva multimediale itinerante: The fashion world of Jean Paul Gaultier. From the sidewalk to the catwalk. Dal marciapiede alla passerella: un claim che la dice lunga sulle ispirazioni che da sempre hanno contaminato la creatività di Monsieur Gaultier, vantandogli di diritto l’appellativo di enfant terrible (o meglio “ex”, come tiene a precisare lo stesso, cedendo il podio a Heidi Slimane, direttore artistico si Yves Saint Laurent).
In mostra a Stoccolma fino al 22 settembre, è qualcosa di più di una semplice retrospettiva. Esposti oltre 140 abiti, schizzi, costumi di scena, spezzoni di film, fotografie e video: non solo vestiti, corsetti e accessori avanguardistici, ma anche arte, immagini di artisti e fotografi contemporanei che, in scatti celebri oppure inediti, hanno immortalato lo stesso Gaultier, atmosfere, personaggi, stili e simbologie del suo personale fashion world. Andy Warhol, Cindy Sherman, Robert Doisneau, Alice Springs, Richard Avedon, Herb Ritts, Pierre et Gilles, Mario Testino, Mert Alas e Marcus Piggott, Inez van Lamsweerde & Vinoodh Matadin, Ellen von Unwerth, Bettina Rheims, alcuni dei nomi che trovano spazio in quest’evento che, a ragion veduta, rappresenta un“oggetto multimediale creativo” (definizione coniata dallo stesso Gaultier).
Tecnologia, moda e scenografia si intrecciano nel segno dell’immagine e del suo culto postmoderno. Provocatorio come le creazioni ospitate, è l’allestimento. La sala d’ingresso è un susseguirsi di manichini parlanti che, schierati come un esercito, accolgono il visitatore. Fra di loro vi è lo stesso Gaultier,che introduce gli spettatori alla mostra. Proiettati sul viso esanime di ciascun manichino, i video con le espressioni facciali di modelli in carne ed ossa. Si procede, poi, con sezioni tematiche, che invitano a una totale immersione nell’estetica visionaria dello stilista: L’Odissea di Jean Paul Gaultier; Il Boudoir; Skin Deep; Punk Cancan; Urban Jungle; Metropolis. Si comincia con un’intro densa di visioni, in cui emergono molti dei temi da lui amati: marinai, sirene, uniformi, vergini, motivi religiosi, gay culture, eros, feticismo, estetica pop, con incluso il suo primissimo abito – mai esposto al pubblico – disegnato nel 1971. Quindi, un balzo all’indietro, richiamando l’antica e infantile fascinazione per merletti e lingerie, che lo avrebbe portato a progettare autentici capi icona, come i due corsetti indossati da Madonna nel 1990, durante il suo Blond Ambition World Tour, mix di romanticismo retro e di seduzione fetish; poi, la dimensione del corpo e l’abito come seconda pelle, laddove la superficie diventa specchio mutevole dell’Io: capi aderenti e sottili, con effetto nude-look (vedi i film di Pedro Almodóvar), come sagome scorticate (Mylène Farmer) o come tatuaggi (Régine Chopinot). E ancora il diabolico ed esaltante mix tra Parigi e Londra, cultura punk ed erotismo, ispirato ai sexy shop di Pigalle, con dettagli come latex, pelle, pizzi e calze a rete in testa ad evocare un’allure da femme fatale incredibilmente chic; per arrivare alla giungla metropolitana che mescola stili, etnie, geografie, linguaggi, culture locali, centri e periferie, per una moda capace di ricomporre frammenti. Infine, la passione per la tecnologia e la fantascienza in una sezione che restituisce il coté più sperimentale e futurista di Gaultier, sviluppato già a fine anni ’70, complici gli input dalla new wave, della house e della techno. Accompagnati dal motto “nulla è stato scolpito sulla pietra nella moda, tutto dipende dai limiti della propria immaginazione”, si percorrono creazioni che sfidano, provocano e interrogano. In uno stile che miscela musica, arte e gay culture e fa da guida in un viaggio che parte dai 70s per arrivare ai giorni nostri.
L’esposizione, curata da Thierry-Maxime Loriot, è stata organizzata dal Museo di Belle Arti di Montréal in collaborazione con Maison Jean Paul Gaultier. Partita lo scorso anno proprio da Montréal, la mostra sta facendo il giro del mondo: dopo le tappe oltreoceano di Dallas e San Francisco, è approdata in Europa, prima a Madrid, poi a Rotterdam e adesso a Stoccolma. Prossimo step, il Barbican di Londra, nel 2014.

The fashion world of Jean Paul Gaultier
a cura di Thierry-Maxime Loriot
fino al 22 settembre 2013
ARKITEKTURMUSEETExercisplan and Slupskjulsplan, Skeppsholmen

LEISURE_MAGNIFICENT OBSESSIONS: 30 stories of craftsmanship in film

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Non vi è film che non sia caratterizzato per alcune scene in cui balza all’occhio lo stile di cui è permeato. Si tratta di frame che, rivisti anche nel tempo, riportano alla mente l’intera pellicola, evocando trama, personaggi, regista e, dulcis in fundo, gli inconfondibili dettagli di stile. E così, come per magia, con la nostra mente ripercorriamo il film per intero. Un rapporto, quello tra cinema e stile, che può darsi per scontato, ma in realtà cela una profonda ratio, frutto di incredibili storie di talenti e creatività. Perché eccellenza e perfezione, in effetti,  derivano dall’“ossessione” per il dettaglio e la vera bellezza che pervade ogni forma d’arte, dalla semplice ideazione alla realizzazione finale. Un’“ossessione” alla base del dna di Persol, marchio d’occhialeria leader nel mondo, sinonimo di qualità e artigianalità. Un marchio che, fiero della sua tradizione produttiva, ha deciso di dedicare un apposito progetto a questo legame simbiotico con il mondo del cinema, volto a valorizzarlo nella sua essenza, PERSOL MAGNIFICENT OBSESSIONS: 30 storie of craftmanship in film. Giunto quest’anno alla sua terza e ultima edizione, consiste in una serie di mostre itineranti che celebrano le “ossessioni” celate dietro ad alcune scene leggendarie entrate nella storia del grande schermo. Lanciato nel 2011, si sviluppa su un orizzonte temporale triennale e trae ispirazione dai trenta passaggi del processo produttivo di un paio di occhiali Persol e dalla dedizione del marchio nei confronti di un design innovativo e di una lavorazione di altissima qualità: la stessa dedizione che caratterizza i più grandi capolavori del cinema. Ogni anno Persol rievoca dieci storie di passione, ricerca semantica e meticolosa attenzione per i dettagli, attraverso una serie di mostre curate da Michael Connor, esperto di cinema e d’arte contemporanea. Entrando nel vivo di PERSOL MAGNIFICENT OBSESSIONS: 30 stories of craftmanship in film, la mostra – composta in tre atti – indaga le segrete “ossessioni” esistenti tra manualità e attività cinematografica. L’evento, rigorosamente su invito, si è svolto lo scorso 10 luglio al Museum of Moving Image di New York alla presenza di alcuni tra i volti più noti del grande schermo, che hanno avuto il privilegio di vedere i dettagli di stile che hanno contribuito a fare la storia di grandi film. Tra gli ospiti Julie Weiss and Jeannine Oppewall, Liev Schreiber, Anna Kendrick, Emmy Rossum, Emma Roberts, Zosia Mamet, Marisa Tomei, Hilary Rhoda, Kelly Killoren Bensimon, Waris Ahluwalia, Dustin Yellin, Philip Lim, Tenzin Wild, Milena Canonero, Filippo Timi, Giovanni Morricone, Holly Gilliam, and Carl Goodman. PERSOL MAGNIFICENT OBSESSIONS sarà aperta al pubblico fino al 10 novembre 2013.

Michael Connor è il curatore di PERSOL MAGNIFICENT OBSESSIONS: 30 stories of craftsmanship in film, mostra-evento che celebra le “ossessioni” che si celano dietro la realizzazione delle pellicole cinematografiche.
Svolge il ruolo di curatore anche per il Cornerhouse di Manchester (UK) e per MOCAtv, il nuovo canale YouTube dedicato all’arte, realizzato in collaborazione con il Museo di Arte Contemporanea di Los Angeles. Con Noah Cowan, invece, ha curato “Essential Cinema” (2010), la mostra inaugurale del Toronto Film Festival.
Inoltre, ha partecipato alla realizzazione dell’esposizione permanente “Screen Worlds” presso l’Australian Centre of the Moving Image (ACMI) di Melbourne, aperta nel 2009.
Dal 2005 al 2007, Connor è stato responsabile delle mostre del British Film Institute, dove ha ideato e organizzato lo sviluppo della Mediateca, un archivio digitale disegnato da David Adjave e accessibile al pubblico, che può vedere e consultare produzioni da grande e piccolo schermo del BFI. Inoltre, ha curato il primo di mostre dello spazio del BFI dedicato alle installazioni di artisti contemporanei e filmmakers, tra le quali una serie di miniature di set da ripresa che ripropongono le scene iconiche del cinema del passato. 

STYLE_Baccarat bijoux

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Due nuove collezioni di preziosi Baccarat per l’Autunno/Inverno 2013-14, firmate da due signore del bijoux design e caratterizzate da due anime ben diverse: grazia per Baccarat B Lovely e audacia per Baccarat Favorite.

Con la collezione Baccarat B Lovely, il bicchiere Harcourt, simbolo e icona della Maison, si reinventa nuovamente in bijou, trasformandosi in oggetto del desiderio. Firmata da Stéphanie Bascou, porta con sé tutta la leggerezza del vermeil lavorato a coste piatte, lasciando trasparire la luce e il colore del cristallo cabochon agganciato a delicate catene dorate.
Di una squisita femminilità, ogni pezzo montato in vermeil magnifica la luce del cristallo tagliato. A partire dalle montature a forma di gabbia o di calice, il delicato lavoro artigianale del metallo è sublimato dai toni caldi e brillanti della palette del cristallo, declinata nei colori mogano, ambra e viola. Dal braccialetto sottile agli orecchini, dal sautoir al collier fluido, ogni pezzo può essere liberamente interpretato ed è completamente modulabile per seguire i desideri e il mood di chi lo indossa, così come l’anello a “pampille” decorato con charms in miniatura.
La collezione B Lovely è abbellita da pietre semi-preziose per catturare il potere inebriante della seduzione.

Strizzando l’occhio a Re Luigi XV che, nel 1764, concesse la creazione della Manifattura, viene la Collezione Baccarat Favorite. Disegnata da Aude Lechère, complice un’eleganza suprema e disinvolta, ricorda i bijoux indossati dall’audace Madame de Pompadour, il suo prestigio a corte e l’influenza artistica che esercitò sul monarca.
Ogni pezzo, in cristallo mordorè rosa montato su vermeil,rivisita l’estetica vintage del cammeo, con la B di Baccarat a proteggere il cristallo come uno scudo. Le collane, dalla più lunga al collier, presentano dei pendenti che giocano con l’effetto cornice. Gli anelli svelano tutta la loro purezza, semplicemente sormontati da cristalli cabochon scintillanti. Dagli orecchini con gancetto, dal braccialetto classico a quello con charms, i contrasti tra opaco e brillante oscillano tra la scultura e l’ornamento. Proprio come i favoriti dei monarchi dell’epoca, sempre fieri del loro potere di seduzione, la nuova collezione è invitante e irresistibile. 

STYLE_Gianfranco Ferré e la camicia bianca

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Per Gianfranco Ferréla camicia ha sempre rappresentato un’inconfondibile cifra stilistica, capace di trasmettere, con la semplicità delle forme e la linearità del taglio, il suo stesso concetto di moda, ossia logica, metodo, sistema. Nel lessico contemporaneo dell’eleganza, lo stilista amava pensare alla camicia bianca come a un termine di uso universale, soggetto, però, alla libera interpretazione di ciascuno di noi. Ecco, quindi, emergere la doppia funzione della moda: suggerire stili e tendenze e stimolare, al contempo, il gusto personale nell’interpretazione dei dictat. La blusa bianca assolve appieno questo ruolo, svelando di volta in volta le sue mille identità: lunga e fluttuante, impeccabile e severa, sontuosa ed elegante, aderente e strizzata. In ogni caso, esalta la femminilità in modo naturale e raffinato, complice il suo rigore essenziale: garbata ma determinata, incornicia il viso e scolpisce il corpo, trasformandosi in una sorta di seconda pelle. Glamour e poesia, slancio e passione, novità e tradizione sono le sue note essenziali, sulle quali di declina lo stile della donna Ferré: giovane, volitiva, indipendente, che esprime sé stessa attraverso l’abbigliamento e non viceversa.
Innumerevoli le interpretazioni proposte dall’architetto della moda italiana, che era solito proporre in ogni collezione originali rivisitazioni. Una delle più celebri e recenti in ordine di data, è una creazione autunno/inverno 2005/2006 che proprio alla camicia bianca guarda per trarre spunto per il lungo abito con cintura ancora oggi indimenticabile.
Preziosi i materiali – taffetas e organza di seta, tulle di nylon, passamaneria a puntine di cotone – così come le lavorazioni, quintessenza di nervature e plissettature.
Nella sua magnificenza, l’abito si caratterizza per il taglio a vita alta sul davanti e bassa sul dietro, l’apertura nella parte anteriore e l’abbottonatura solo nel busto. Il corpetto, per l’appunto, è a camicia di taffetas doppiato, con colletto, spalle dritte e maniche lunghe a giro; i polsini doppi presentano un sormonto a punte bordato di passamaneria. Nella parte anteriore delle spalle, alla nuca e sulla sommità delle maniche il modello è decorato con piccoli gruppi di nervature. Sul fronte del giro vita è applicato un volant formato da due balze arricciate, che si dimezza in corrispondenza dei fianchi. Solo la parte inferiore completa la circonferenza del vestito, in modo da allungare la schiena liscia della camicia.
L’ampia gonna è formata da una sottogonna di tulle e organza, tagliata in quattro teli svasati con breve strascico su cui sono applicati volants di taffetas di misura e lavorazione diversa, orlati a sopraggitto. Attorno ai fianchi è cucita una balza liscia, cui seguono sei volant alternativamente plissettati in alto o in basso. Questa alternanza crea un effetto decorativo di contrasto fra le parti lisce e quelle pieghettate.
Il modello è completato da una cintura - bustier marrone di pelle opaca, foderata di pelle liscia, allacciata con due lunghi cordoni intrecciati che terminano con due nappe e decorata con un inserto centrale di rettile, con due fiori tridimensionali di pelle buccia d’arancia e con ricami a rilievo che disegnano un motivo ad intreccio. Gli orli e le cuciture dell’inserto sono sottolineati da una lavorazione incrociata di striscioline di pelle lucida marrone brillante; mentre alle estremità della cintura, sono applicate due cocche pendenti di striscioline di pelle opaca.
Un modello prezioso e d’impatto scenico, che trae ispirazione dal folklore argentino del popolo delle pampas e dalla suggestione creata dalle danze tradizionali di quel paese. Il fruscio creato dalle balze di taffetas plissettate diviene un suono irresistibile e seducente, in grado di esaltare la femminilità e catturare sguardi e attenzione.
Questo modello segna l’inizio di una produzione di abiti da sera sempre più raffinati, lussuosi e artigianali: proprio la stagione autunno/inverno 2005/2006 segna l’inizio del Progetto Special Order, una formula che prevede la realizzazione su misura dei modelli più importanti e preziosi presentati in sfilata: un ulteriore passo nell’avvicinamento del prêt-à-porter alla sartoria di alta moda, così da soddisfare la fascia di clientela più esigente e di rispondere alle richieste del mercato del lusso. Gli abiti di Gianfranco Ferré sempre più sono delle vere e proprie “architetture tessili”, dove la forma incontra la materia sotto l’egida della mano del creatore. Al corpo femminile il compito di renderli vivi con uno slancio vitale del tutto personale, armonia perfetta di emozione, vitalità ed eleganza.  

LEISURE_Festival di Locarno: al via la 66a edizione

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Ai blocchi di partenza la 66esima edizione del Festival del film Locarno, una delle kermesse più suggestive ed eclettiche del panorama cinematografico.
Dal 7 al 17 agosto, dieci giornate ricche di proiezioni, appuntamenti ed eventi collaterali a conclusione dei quali verrà assegnato il Pardo d’oro. Fondamentale per la perfetta riuscita della manifestazione, la location deputata ad ospitarla: la Piazza Grande di Locarno, infatti, si trasforma in un’eccezionale sala di proiezione, con uno schermo enorme che consente la visione ad una platea di 8mila spettatori. 
Ad aprire l’edizione 2013, “2Guns (Cani Sciolti), action-thriller di Baltasar Kormákur, interpretato dagli attori statunitensi Denzel Washington e Mark Wahlberg. Bisognerà aspettare fine ottobre per poterlo vedere sul grande schermo. Ad alternarsi sullo schermo dell’imponente Piazza Grande, 16 titoli tra i quali “La variabile umana” dell’italiano Bruno Oliviero, che mette in scena una Milano sofferente in cui si svolgono le vicende dei personaggi interpretati da Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Sandra Ceccarelli e Anna Raffaelli.
A guidare la sezione Fuori concorso, invece, “Indebito” di Andrea Segre, un lungometraggio con protagonista Vinicio Capossela, che racconta il lento declino della Grecia.
Ad arricchire il programma, il Concorso internazionale, composto da 20 opere di cui 18 in prima mondiale: spazio a registi giovani ma già conosciuti dai frequentatori dei festival (Porumboiu, Serra, i fratelli Vega, Mouret, Cattet-Forzani, Delbono), così come agli habitués di Locarno(Aoyama, Gianikian-Ricci Lucchi, Imbach), a quelli che ritornano al cinema (Yersin, Tso chi Chang) e a nomi nuovi (Wnendt, Cretton, Pinto, Hogg, Brac).
“Sangue” di Pippo Delbono, l’unica opera italiano in concorso: un film girato con un semplice telefonino e una piccola camera, che racconta l’incontro tra il regista e l’ex brigatista Giovanni Senzani.
Cinema di oggi e di domani, ma anche di ieri, con la retrospettiva dedicata al celebre regista hollywoodiano George Cukor, di cui viene presentata integralmente l’opera cinematografica: verranno proiettate circa 50 pellicole (tra le quali Ricche e Famore, My Fair Lady, E’ nata una stella, Sangue misto), accompagnate da tavole rotonde e dibattici a cui prenderanno parte cineasti, attori e critici. 
Ricco il carnet di ospiti che verranno insigniti di premi speciali: Werner Herzog riceverà il Pardo d’onore e per l’occasione presenterà la seconda serie dei suoi documentari Death Row; il Pardo alla carriera, invece, andrà a Otar Iosselliani e Sergio Castellitto, di cui saranno proiettati i capolavori più rappresentativi dei rispettivi talenti; all’attore britannico Christopher Lee e all’attrice spagnola Victoria Abril, l’Excellence AwardMoët & Chandon, che ogni anno premia i migliori protagonisti della scena cinematografica internazionale, assegnato nelle passate edizioni a Susan Sarandon, John Malkovich, Michel Piccoli, Toni Servillo, Isabelle Huppert, Charlotte Rampling e Gael García Bernal.
In particolare, VictoriaAbril, musa di Vincente Aranda e Pedro Almodóvar, riceverà il premio in Piazza Grande la sera di sabato 10 agosto.
per l’occasione, il pubblico avrà la possibilità di assistere a unaconversazione con l’attrice allo Spazio cinema (Forum), sabato 10 agosto alle 13.30. In suo onore, inoltre, verranno inoltre proiettati due film: “Legami!”di Pedro Almodóvar (1990) e “101 Reykjavik”, opera prima di Baltasar Kormákur (regista del film d’apertura “2 Guns”) presentata in Concorso a Locarno nel 2000.

Festival del Film Locarno – 66esima edizione
Dal 7 al 17 agosto 2013, Locarno

ART & CULTURE_Impressioni chez Dior...

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Christian Dior celebra il suo legame con il mondo dell’arte, arricchendo il panorama degli appuntamenti che celebrano il connubio arte-moda di una mostra imperdibile: Impressions Dior, visitabile sino al 22 settembre 2013 al Musée Christian Dior di Granville nell’ambito della manifestazione Normandie Impressionisme. Sotto la lente d’ingrandimento, l’Alta Moda e il movimento impressionista, partendo dalle prime creazioni di Monsieur Dior (comprese nel decennio 1947-1957) per arrivare a quelle dei suoi successori (ultimo, in ordine di data, Raf Simons),per raccontare come sono stati reinterpretati capolavori di Cézanne, Degas, Monet, Manet, Renoir e Seurat.
L’esposizione ripercorre il cammino artistico del couturier e l’ispirazione tratta dagli ambienti naturali della sua infanzia a Granville, molti simili a quelli studiati dagli Impressionisti. Tema il New Look, il concetto assolutamente rivoluzionario all’epoca, che esaltava il corpo sinuoso della donna attraverso gonne ampie e avvitate, ispirate alle corolle e ai gambi dei fiori: un concetto arricchito da Dior e dai suoi successori con reinterpretazioni delle mode dell’epoca Impressionista, dai rigonfiamenti e le balze degli abiti in crinolina ritratti da Claude Monet in “Le déjeneur sur l’herbe”, agli abiti con i sellini raffigurati nel quadro “Un dimanche après-midi à l’Ile de la Grande Jatte” di George Seurat.
Una sincronia di visioni e intenti che nella mostra prende vita con l’accostamento dei dipinti del periodo agli abiti, in modo da porre l’accento sull’estetica e sui temi che uniscono l’arte degli Impressionisti all’Alta Moda, perlustrando tematiche comuni a queste due realtà come la natura, l’immagine della donna, i giochi di luce, i colori, l’idea di movimento.
A corollario un libro-catalogo che indaga ulteriormente su questo connubio attraverso gli scritti di Farid Chenoune, Philippe Thiébaut, Barbara Jeauffroy-Mairet, Brigitte Richart e Vincent Leret, oltre all’introduzione e ai testi di Florence Muller, la curatrice della mostra: 152 pagine che hanno già debuttato in Francia, Inghilterra e Italia e a settembre negli Usa.

Impressions Dior
Musée Christian Dior, Granville
Fino al 22 settembre 2013 

LEISURE_Milano Moda Donna: 18/23 settembre 2013

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Qualche prima anticipazione, perlomeno in numeri, relativamente alla prossima edizione di Milano Moda Donna - in programma dal 18 al 23 settembre 2013 - dedicata alle collezioni prêt-à-porter primavera/estate 2014.
Ricco e interessante il calendario di appuntamenti: previsti 74 show, per 67 diverse case di moda. 8 le nuove sfilate in calendario: Costume National, che dopo oltre 20 anni torna sulle passerelle milanesi; Tod’s, che debutta con la direzione creativa di Alessandra Facchinetti, mentre Fay sfilerà per la prima volta con la collezione disegnata dalla coppia Aquilano e Rimondi; Philipp Plein; Stella Jean; Angelo Bratis; dulcis in fundo, due tra i giovani designer più amati da buyers, stampa e pubblico, Fausto Puglisi e Massimiliano Giorgetti con il brand MSGM.
Una predilezione, quella per i giovani talenti, avvalorata dalla conferma in calendario di altri importanti nomi che già nelle passate edizioni di Milano Moda Donna hanno presentato le loro collezioni a ritmo di passerella - Andra Incontri, Gabriele Colangelo, Marco De Vincenzo, Chicca Lualdi Beequeen, Sergei Grinko, Cristiano Burani– e dallo show N.U.De Nue Upcoming Designers in programma lunedì 23 settembre. A corollario, ad arricchire un così promettente calendario, presentazioni, eventi mondani e culturali e appuntamenti che mettono al centro dell’attenzione Milano e la moda, facendo del capoluogo milanese un crocevia di persone, passioni e visioni. 

STYLE_Kinloch: foulard e cravatte dall'anima elegante

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Uno stile so british dal retrogusto siciliano, per una commistione di culture, stimoli e visioni che collimano nella creazione di prodotti unici nel loro genere, quintessenza di qualità, ricerca, senso del bello e della tradizione. Questo e molto altro ancora, rappresenta il dna dei foulards e delle cravatte Kinloch, nati dal connubio creativo, ma non solo, dell’italo scozzese Marco Kinloch Herbertson e della moglie Antea Brugnoni Alliata. Un idillio di stile che dalla Sicilia prende vita, muovendo i suoi primi passi negli spazi della dimora settecentesca della moglie, discendente di un’antica famiglia siciliana e appassionata conoscitrice del mondo arabo al punto di diventare musa ispiratrice di questo neo-brand di lusso. Un’avventura dal sapore contemporaneo, che affonda profonde radici nella tradizione, arrivando a una calibrata resa formale in cui convivono innovazione e heritage, sogno e realtà.
La collezione primavera/estate 2013 è stata all’insegna del colore, del design e della creatività. Alla seta si è aggiunto il cotone, offrendo una lettura ulteriore dei temi dell’estate. La bellezza dei disegni, la qualità dei tessuti e la purezza della lavorazioneeseguita a mano, rigorosamente in Italia – rappresentano il fil rouge che ha condotto Kinloch nei luoghi più prestigiosi e suggestivi del Belpaese, evocandone tratti e contorni con la magnificenza di simili creazioni. Rosso, blu, nero, giallo, azzurro, colorano i foulards, che si fanno storia narrante ora di un barocco rivisitato ora di visioni bucoliche. Da Palazzo Biscari a piazza del Duomo, con la Fontana dell’Elefante, si arriva a un’immaginifica visione della pesca al tonno in Giappone. Elefantini, rospi e galli, invece, sono chiamati a decorare cravatte, realizzando un esemplare connubio tra fantasiosa ironia e impeccabile eleganza.
Un viaggio intorno al mondo, che per la collezione autunno/inverno 2013/14 fa tappa nella Russia degli Zar, dando un’ulteriore interpretazione del sodalizio fiaba-realtà. Uccelli di fuoco, cavalli alati e palazzi maestosi, rivivono sui foulard realizzati in seta e cachemire. Dalla Russia con amore, l’avventura riprende alla volta dell’India pre-coloniale: compagno di viaggio, un Marajah a dorso di un elefante. Ci si addentra, poi, nella Sicilia normanna, per convolare verso il mondo arabo. La cultura islamica ha svolto un ruolo centrale nella realizzazione di questa collezione, in particolar modo ispirando l’hijab (velo da donna) in seta e cachemire arricchito da eleganti disegni, scelti nel rispetto della legge coranica. Alcuni foulard, infine, riportano i personaggi delle fiabe che Marco e Antea raccontano alla loro bambina; altri, invece, pezzi di racconti antichi. A suggellare l’armonia visionaria della collezione, cravatte con microstampe raffiguranti il mondo fatato e sognate, ma, al tempo stesso, radicato nella tradizione di Kinloch, un marchio tutto da scoprire ogni volta con entusiasmo e curiosità.

LEISURE_Tony Viramontes: trasgressivo, bello e dannato

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"Cerco nuove idee, perché mi piace essere costantemente in uno stato di ansia creativa e di insicurezza. Se mi sento sicuro non posso essere creativo, cerco di rinnovarmi." In queste poche parole, pronunciate da Tony Viramontesin persona, trapela il senso e la motivazione che sono stati alla base della sua cifra stilistica con la quale si è contraddistinto nell’illustrazione di moda, collaborando con le principali testate del settore, immortalando celebs e firmando gli scatti per i più grandi designer internazionali.
Uno spirito trasgressivo, bello e dannato che lo porta ad esordire alla fine degli anni ’70, riscuotendo successo immediato, e con il quale riceve subito prestigiosi incarichi editoriali, solitamente assegnati ai fotografi, da riviste come Vogue negli Stati Uniti, the Face in Inghilterra, Lei e Per Lui in Italia e ancora Jill Magazine, Marie Claire, Le Monde e City Magazine in Francia.
Fiero e consapevole del suo stile forte e diretto, si pone in netto contrasto con le tonalità pastello dell’epoca, creando una sorta di rottura con i canoni convenzionali. Al momento della sua morte, nel 1988, era in pieno fermento creativo: gli era stata appena offerta la direzione creativa di Genius Group e aveva lavorato con alcuni dei nomi più celebri, da Valentino a Jean Paul Gaultier a Hanae Mori. Viramontes ha disegnato anche per Givenchy, Yssey Miyake, Yves Saint Laurent, Pierre Cardin, Ungaro e Dior. Aveva ritratto, tra gli altri, Isabella Rossellini, Paloma Picasso e Janet Jackson.
Era solito ritrarre dal vivo i suoi modelli, che posavano anche per ore, coinvolgendoli nel suo processo creativo e rendendoli parte integrante dell’opera non solo per quanto riguardava la resa formale, bensì in tutta la semantica artistica ed emozionale. Sulla scia di Egon Schiele, uno degli artisti a cui si è più ispirato quando era studente d’arte a New York, Tony Viramontes vantava approfondite conoscenze di anatomia. Pertanto, non aveva bisogno di distorcere linee e forme, escamotage a cui ricorrevano molti artisti, ma utilizzava la sua spiccata capacità d’osservazione della realtà come punto di partenza per il suo lavoro. Un’osservazione che trovava conforto visivo nel suo tratto deciso, volto a cogliere l’effettività di una scena. Veloce ed elettrico, disegnava decine di schizzi rapidissimi per riuscire a catturare l'essenza di una posa. La bocca sensuale, i fianchi e le spalle pronunciate, l’impertinenza e la grinta graffiante sono i tratti distintivi delle sue opere.Ha disegnato gli uomini con la stessa sensuale insolenza che donava alle donne. Ha osato spingersi oltre, estendendo coraggiosamente i confini dell’identità maschile, al punto che i suoi modelli (e amanti) posavano truccati, indossando gioielli e turbanti esotici.
Nel fiore della sua evoluzione creativa, Tony Viramontes è stato condannato dall’Aids, proprio in quell’epoca, gli anni ’80, in cui quelli che erano giovani, belli e di talento erano amati e idolatrati, spesso da entrambi i sessi. Nelle discoteche hanno ballato, usato droghe, sperimentato una sessualità sfrenata, ma hanno anche saputo stimolare la creatività, ampliando le rispettive visioni e condividendone i processi, partecipando all'arte, alla moda e alla musica che hanno siglato quel decennio.
Questo e molto altro ancora è ora raccolto in un catalogo edito Laurence King Publishing e in una special exhibition allestita per la prima volta in Italia presso la Galleria Carla Sozzani di Milano (6 settembre – 3 novembre 2013). A distanza di vent'anni, è possibile fare un passo indietro e riscoprire la cura meticolosa e la disciplina riposta in ogni suo disegno. Un talento superbo cresciuto in un ambiente pericoloso e insicuro. Ma proprio questa inquietudine era ciò di cui Viramontes aveva bisogno per raggiungere risultati spettacolari. Una realtà che avrebbe finito per ucciderlo.Proprio come Fran Lebowitz ha osservato nel documentario di Martin Scorsese, Public Speaking, 2010: "quelli che negli anni ‘80 vollero amare la bellezza e il talento più estremo, sono quelli che sono morti”. Condannati dalla loro bellezza, dal talento e dalla joie de vivre - dannati per tutte le ragioni sbagliate.


Biografia
Tony Viramontes nasce nel 1956 a Los Angeles da genitori spagnoli e messicani. Viaggia moltissimo da  bambino. Studia Belle Arti e fotografia alla Parsons School di New York, per poi dedicarsi alla moda e al disegno.
Alla fine degli anni ‘70, esordisce nel mondo dell’illustrazione di moda ottenendo un immediato riscontro, lavorando per le riviste Lei e Per Lui in Italia, Vogue negli Stati Uniti, Face in Inghilterra, e Jill Magazine, Marie Claire, Le Monde e City Magazine in Francia.
Collabora con alcuni dei nomi più celebri della moda: Yves Saint Laurent, Valentino, Jean Paul Gaultier, Gianni Versace, Chanel, Perry Ellis. Disegna i ritratti di Isabella Rossellini, Paloma Picasso, Janet Jackson, Diana Ross e tanti altri.
Nel 1983 ha realizzato le immagini per Genius Group che comprendeva Goldie, Bo-Bo Kaminsky, Diesel e Replaye nel 1988, poco prima di morire, gli viene offerta la direzione artistica, dalle boutique alle collezioni, di Goldie e della stilista giapponese Hanae Mori.

Tony Viramontes
trasgressivo, bello e dannato

Galleria Carla Sozzani, Corso Como 10, Milano
tel. +39 02.653531 - fax +39 02.29004080;
in mostra dal 6 settembre al 3 novembre 2013
martedì, venerdì, sabato e domenica, ore 10.30 – 19.30
mercoledì e giovedì, ore 10.30 – 21.00
lunedì, ore 15.30 – 19.30

CATALOGO
The World of 1980s Fashion Illustrator Tony Viramontes
Bold, Beautiful, and Damned
Testi di Dean Rhys Morgan
Prefazione di Jean Paul Gaultier
Postfazione di  Amy Fine Collins
Editore Laurence King Publishing
250 illustrazioni
192 pagine
ISBN – 9781780673073
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